La globalizzazione come metodo di alienazione identitaria
Come osserva Roland Robertson, sociologo britannico, la globalizzazione è un processo estremamente complesso che riguarda non soltanto l'espansione e l'intensificazione delle interdipendenze sociali e materiali, ma coinvolge anche il livello soggettivo della coscienza umana. Le persone coinvolte in questo sistema diventerebbero perciò, secondo Robertson, sempre più coscienti dell'importanza crescente delle manifestazioni di interazione sociale, e consapevoli della crescente importanza dei confini geografici: questo porterebbe ad un inevitabile cambiamento delle identità individuali e collettive verso un tutto globale, modificando drasticamente l'impatto del loro modo di agire nel mondo.
Il fatto che si sia parlato, e si continui a farlo sui mass media ed in quelle che dovrebbero essere le istituzioni educative, in termini sempre così entusiastici di globalizzazione, ne ha parzialmente offuscato le problematiche stringenti che, soprattutto al momento attuale, risultano sempre più evidenti.
La globalizzazione viene romanzata come un romantico tentativo di “abbattere i confini tra popoli” per giungere ad un nuovo continuum spaziale in cui il locale ed il globale si fondano magicamente senza traumi per nessuno e con effetti culturali, economici, di impatto ambientale positivi per tutti.
La realtà, però, non è quella che i mainstreamers (dal termine “mainstream”, coloro i quali sostengono e rafforzano un'opinione che è indotta come tendenza dominante e di massa) ci raccontano: l’integrazione economica dei settori economico-finanziari, dominati dal monopolio dei grandi organismi sovranazionali come il Fondo Monetario internazionale (FMI), la Banca Mondiale (BM) e l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), come è stata configurata fino ad ora negli accordi commerciali internazionali, ha spesso portato ad un aumento della povertà in molte parti del mondo, soprattutto a livello dei paesi sottosviluppati.
L'ideologia globalizzante continua ad essere perseguita malgrado negli ultimi anni il modello occidentale (o americano) sia è entrato in crisi, appoggiandosi, di riflesso da parte delle élite europee, al modello economico dell'ordoliberismo, che brandendo l'internazionalismo della pace (smentito dai non più recenti accadimenti a livello globale) ha creato le premesse per l'instaurazione di un capitalismo ante 1929, invertendo progressivamente la direzione delle azioni delle istituzioni democratiche attraverso una vera e propria distruzione della classe media ed il livellamento verso il basso non solo economico, ma socio-culturale di interi Paesi.
Il politicamente corretto dilagante nei mezzi di comunicazione induce, altresì, le masse ad utilizzare termini quali “cittadino del mondo”, che hanno l'obiettivo di entrare violentemente nelle coscienze collettive per imporre il modello globalizzante.
L'osservazione più grave consiste nell'impatto antropologico che la globalizzazione ha sugli individui, completamente ignorato o, nel migliore dei casi, sottovalutato. L'omologazione degli stili di vita, la reductio ad unum delle forme etico/estetiche (paradossalmente a discapito della eterogenia), la spinta verso una «occidentalizzazione» dei mercati delle mode, dei consumi e dei costumi e la forzata imposizione di una scala di valori impostata al benessere, alla ricchezza, alla sicurezza sono solo alcuni aspetti di quella che è una vera e propria violenza perpetruata negli anni nei confronti di popolazioni, come quelle europee, che decenni fa potevano vantarsi di appartenere alle democrazie più avanzate del pianeta.
La lotta sovranista è dunque lotta alla riduzione delle diversità ad un'unica «immagine del mondo», che è quella strisciante ed imposta, poiché l'indebolimento del senso di appartenenza alla comunità nazionale e locale non è altro che una costruzione alienante ed artificiale, favorita essenzialmente dai media elettronici ad appannaggio di quello che è il potere delle élite dominanti.
Analisi perfetta, ne terrò conto nel mio libro