Costituzione materiale e ruolo dei partiti politici
La grande cultura giuridica che, su impulso di Costantino Mortati ed altri grandi giuristi, a partire dagli anni ’30 del XX secolo, rese tecnicamente possibile il passaggio dallo stato liberale allo stato democratico e sociale, arrivando a costituire un solido riferimento dottrinario per la stesura della Carta Costituzionale nel 1947, aveva come perno la ricerca della funzione primigenia dell’esperienza giuridica, che deve risiedere non nelle norme ma nell’ordinamento.
Nell’opera “La costituzione in senso materiale” del 1941, il Mortati spiegò che in una costituzione materiale (cioè non di tipo puramente formale) le norme acquistano validità non singolarmente, ma in quanto legate ad un filo conduttore, cioè ad un ordinamento che possiede identità, unitarietà, ordine. L’invito di Mortati, ripetuto nel corso della sua esperienza come docente e poi come giudice della Corte costituzionale, è consistito nel non limitarsi a valutare formalmente le norme emanate, ma nell’insieme ordinato cui appartengono.
C’è da chiedersi – a titolo di esempio – se parlamentari e giudici costituzionali abbiano svolto questo tipo di valutazione nel 2012, al momento dell’introduzione nell’articolo 81 del comma relativo all’equilibrio di bilancio. L’insieme delle norme di indirizzo della Costituzione, infatti, individua nell’intervento pubblico negli assetti economici il momento fondamentale in cui si garantisce l’utilità sociale per il paese, tale da non poter giustificare nessun limite giuridico all’azione dello stato in tal senso.
Similmente, tutte le norme dell’Unione Europea o da essa derivate (il c.d. vincolo esterno) possono essere accettate e addirittura sovraordinate alle norme costituzionali solo in virtù di un’apparente non contraddittorietà, derivante certamente da una lettura formale e non sostanziale dei due ordinamenti sovrapposti.
Da qualche decennio la cultura giuridica costituzionalista non sembra più voler considerare così centrale la dottrina della costituzione materiale. Eppure dagli anni ‘30 agli anni ’60 la radicale critica del Mortati per il superamento dello stato moderno di tipo liberale e la creazione di uno stato moderno di tipo costituzionale nel senso materiale era agli occhi di tutti, politici e tecnici, un riferimento imprescindibile per far funzionare il sistema in un quadro di logica democratica e di interessi collettivi.
Lo stato di “tipo liberale” manifesta il suo limite a partire da una norma contenuta nella “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 1789, che recitava (art. 5): “Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.” In tal modo è negata la possibilità dell’esistenza di un indirizzo generale, con le conseguenze che possiamo immaginare, ad esempio, negli ambiti della proprietà e del lavoro. Con l’ordinamento materiale, invece, nemmeno il privato può sottrarsi all’osservanza dell’indirizzo generale.
I critici sostengono che la dottrina del Mortati si presti a concezioni autoritarie, ma, argomenta Maurizio Fioravanti (2014), “è altrettanto chiaro che questa è la via che condurrà alla concezione repubblicana della Costituzione come norma fondamentale, che è tale, perché contiene non solo garanzie, ma anche l’indicazione prescrittiva delle finalità da perseguire, che è dunque indirizzo, e non solo garanzia. Indirizzo non solo per i poteri pubblici, ma anche per i privati, come già nel 1936”.
Dunque, la stessa presenza in Costituzione delle norme prescrittive insieme a norme immediatamente precettive rafforza il principio che agli organi legislativi e alla società tutta spetti in un certo senso l’applicazione di un programma, che qualifica in modo più netto l’indirizzo che l’intero ordinamento deve assumere.
In tal modo i costituenti hanno assegnato ai cittadini singoli o associati (indirettamente) e ai partiti politici operanti in Parlamento (direttamente) un compito molto importante: predisporsi per l’attuazione dei fini costituzionali, al di là delle contrapposizioni e delle mediazioni degli interessi.
Ai partiti politici, in particolare, mediante la centralità del Parlamento nel processo legislativo, spetta un ruolo privilegiato, in quanto è attraverso di essi che propriamente il popolo esercita la sovranità di cui è titolare, con lo scopo di raggiungere gli obiettivi costituzionali di piena occupazione e sviluppo sociale.
Usiamo le parole del prof. Maurizio Fioravanti (Università di Firenze) per spiegare in che modo, agli occhi dei costituenti, i partiti divennero vere e proprie istituzioni politiche attraverso le quali è reso possibile l’esercizio della sovranità popolare:
“[…] Le “forme” entro cui deve ricondursi l’esercizio della sovranità popolare sono evidentemente prima di tutto quelle rappresentative-parlamentari. Si potrebbe quindi sostenere, quasi a mo’ di conclusione: il popolo è sovrano perché liberamente elegge un parlamento che lo rappresenta. Le cose non erano pero affatto così semplici. I nostri costituenti infatti non intendevano – come già abbiamo visto – correre i rischi insiti nel modello radicale, nelle pratiche della democrazia diretta, nella idea stessa della sovranità del popolo sulla costituzione e sui poteri costituiti, ma nello stesso tempo avevano anche un altro pericolo da evitare, sul versante opposto: quello di ricadere nella vecchia idea liberale ed ottocentesca della sovranità del parlamento, dietro cui scompariva del tutto la figura del popolo sovrano. Ed infatti tra i nostri costituenti era quasi unanime la volontà di superare i confini, ritenuti angusti, del modello liberale ottocentesco, in cui il parlamento era sì centrale, ma solo in quanto espressione della astratta ragione della nazione, che si rendeva concreta solo grazie al ruolo determinante delle aristocrazie borghesi, designate mediante pratiche elettorali ristrette e censitarie.
Dunque, contro l’idea radicale della sovranità del popolo si afferma la forza, la centralità, ed in qualche modo anche l’autonomia del parlamento, ma solo a condizione che quest’ultimo raffigurabile in modo sostanzialmente diverso dal passato, come luogo di autentica rappresentazione del popolo sovrano. Da questo vero e proprio dilemma si usci grazie allo straordinario e determinante ruolo che i nostri costituenti attribuirono ai partiti politici.
Ed in effetti che cosa differenziava nel profondo il parlamento che si doveva costruire dai parlamenti liberali e borghesi del secolo precedente? Sarebbe facile rispondere: il suffragio universale, maschile e femminile. Certo, non si tratta di una differenza di poco conto, ma non è tutto, e sarebbe anzi riduttivo far coincidere il nuovo principio democratico con l’affermazione piena ed irreversibile del suffragio universale.
La verità è che la differenza più profonda, la novità più forte, è data dalla presenza dei partiti politici, dal fatto che essi pretendono ora di essere molto di più di semplici associazioni di cittadini, o di raggruppamenti parlamentari più o meno stabili. I partiti sono ora intesi come vere e proprie istituzioni politiche, nel senso che la democrazia è caratterizzata nel profondo dalla loro presenza. La costituzione stessa si è resa possibile, come noto, perché il popolo italiano si e organizzato in partiti, e questi hanno saputo disciplinare le molteplici spinte presenti in quel momento storico, riconducendole a soluzioni di ordine e livello costituzionale, trovando nei principi costituzionali la definizione dei necessari punti di equilibrio e di convergenza.
Ma c’è di più, ed è ciò che più ci interessa: i partiti non sono solo i protagonisti della fase eroica, della travagliata uscita dal precedente regime, della fondazione, essi sono soprattutto ciò che servirà alla democrazia italiana per esistere come tale e rafforzarsi nel tempo, per rendere concreto il principio della sovranità popolare. Questo ruolo forte, ed ambizioso, dei partiti politici è forse ciò che caratterizza più nel profondo, ed attraversa in senso orizzontale, la discussione dei nostri costituenti, da Lelio Basso a Palmiro Togliatti, ai rappresentanti del mondo politico cattolico, fino alla stessa cultura giuridica, a questo livello rappresentata soprattutto da Costantino Mortati.
Torniamo ora, alla luce di tutto questo, alla grande idea della centralità del parlamento. Come si vede, c’è ben più della affermazione del suffragio universale o della ovvia, netta e decisa riaffermazione di quelle prerogative parlamentari che il fascismo aveva cancellato. C’è la convinzione che grazie all’opera che i partiti sapranno svolgere nella società, al loro lavoro di organizzazione e sintesi della grande complessità degli interessi sociali ed economici, si avrà un parlamento completamente nuovo, del tutto trasformato dalla nuova democrazia dei partiti, che sarà molto di più del luogo deputato allo svolgimento della funzione legislativa. Esso sarà anche e soprattutto il luogo in cui i partiti medesimi renderanno visibili e presenti le idealità e gli interessi esistenti nella società italiana. Quegli interessi non saranno semplicemente e meccanicamente riprodotti e trasferiti in parlamento, perché il compito dei partiti è anche quello di filtrare, di selezionare, di predisporre alla sintesi politica, ma alla fine è nel parlamento che tutto questo lavoro confluisce; ed il parlamento è di conseguenza centrale nel sistema politico perché è lì, e non altrove, che diviene presente e visibile la società italiana come dato complesso, organizzato per il tramite dei partiti. Questa società, sul piano politico-costituzionale non più pensabile senza i partiti, finisce per coincidere con la tradizionale figura del popolo sovrano, ed il cerchio si chiude: il parlamento è centrale perché in esso si rende presente e visibile il popolo sovrano. […]” (da “Sovranità e forma di governo” – in Seminario “Costituzione e Repubblica” – aprile/ottobre 1997).
In sintesi, mentre l’esercizio della sovranità popolare deve concretizzarsi nel ruolo affidato ai partiti politici di organizzazione/formazione dei cittadini fuori dal Parlamento e rappresentanza degli stessi all’interno del Parlamento, il campo di azione dei partiti, nelle loro funzioni legislative parlamentari, deve legarsi alla stretta osservanza degli indirizzi generali costituzionali.
Gianluigi Leone
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