Per una fondazione filosofica del sovranismo: la figura di Costanzo Preve (1/5)

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7 risposte

  1. bertoldo ha detto:

    Grazie a Simone Garilli per il contributo e lo stimolo verso la Conoscenza.
    Spero siano in tanti a leggere e rimeditare.

    • Riccardo Croce ha detto:

      Visto, ma ecco che mi devo già fermare, così come dovranno fare i più leggendo questo “appello al popolo” non si può prescindere dalla lettura almeno di “L’Ontologia sociale e l’etica comunitaria nel lascito filosofico di Costanzo Preve” di Roberto Donini e di ” Verità e relativismo: religione, scienza, filosofia e politica nell’epoca della globalizzazione” di Costanzo Preve! Ditelo :D

  2. Cesco ha detto:

    Bene così! Il sovranismo deve entrare in ogni campo dellq cultura e da ciascuno di questi deve trarre nuova forza e fondamento.

  3. Paolo Di Remigio ha detto:

    Verità è “adaequatio intellectus et rei”. Hegel tiene molto a questa definizione; egli la interpreta nel senso che l’intelletto e la cosa sono DAPPRIMA identici, con sacrificio della loro differenza, POI si differenziano, con sacrificio della loro identità, INFINE negano questa differenziazione e si adeguano nell’identità dell’identità e della differenza. Questa capacità di tenere insieme (identificare) ciò che si differenzia è la libertà, cioè “il minimo comune denominatore di <> che unifica le storicità differenziate dei vari e distinti modi di produzione”. Poiché l’ontologia è sì eterna, ma non immobile – è infatti la vicenda del differenziarsi e del negare la differenza, vicenda in cui consiste la libertà – la storia, e il proprio tempo, non è il disertato dall’ontologia, ma sotto la sua corteccia di casualità e di intempestività contiene un nucleo essenziale che il pensiero apprende. Inoltre, poiché l’ontologia non è immobile, ma si inabissa nella differenza e nella contraddizione prima di comporsi speculativamente nella verità, allora la realtà stessa opera su se stessa la propria critica; così la valutazione che la filosofia offre non ha nulla di moralistico, ma è la descrizione del conflitto con se stesso del reale, tramite cui il reale è come libertà. Questa libertà ha per Hegel la sua forma oggettiva nello stato. Marx contesta la capacità dello stato di tenere insieme l’identità (il momento comunitario) e la differenza (l’interesse classista); ma la sua critica porge il fianco all’accusa di messianismo (abbandono del presente e scivolamento nella speranza). Forse questo è il punto in cui costruire una feconda sintesi filosofica e politica.

    • Simone.Garilli ha detto:

      Paolo, sono d’accordo solo in parte con la tua precisazione.

      Sono pienamente d’accordo sul fatto che la Verità non sia qualcosa di dato ed immutabile, ma il risultato mai definitivo di una dialettica tra ontologia (natura umana) e storicità determinata (struttura, sovrastruttura, ideologia). La Verità muta quindi insieme al mutare dialettico degli elementi che la compongono e compito della filosofia è arrivare a conoscere il processo dialettico storicamente determinato, valutarne gli effetti sociali (in senso lato) e nel caso di valutazione negativa, trarne i principi alla base di una trasformazione.

      Questo è vero, ma con dei limiti, secondo me. E credo anche secondo Preve, nel momento in cui si spinge a dichiarare che insieme ad Hegel e Marx è necessario anche Aristotele. Di Aristotele è necessaria la categoria di natura umana che vede nell’uomo un animale comunitario e razionale. Questo dettato ontologico è ETERNO, DATO, TRANS-STORICO.

      Il modo di produzione capitalistico può aver molestato e sconfitto questo dettato ontologico di base, ma non l’ha certo annientato definitivamente. L’individualismo esasperato anti-comunitario tipico del capitalismo (e in particolare di quello post-borghese di oggi) è una parentesi di corruzione antropologica che non può che portare sul lungo e lunghissimo periodo a reazioni sistemiche in senso comunitario e anti-individualistico. Non dico che siano resistenze destinate ad un successo necessario (ricadrei negli errori del marxismo storico), ma che queste resistenze sempre ci saranno, rinnovandosi con le generazioni. Non riuscirai mai ad eliminare la base ontologica dell’essere umano, che consiste nella libertà declinata come comunità e razionalità.

      Questo è il limite delle interpretazioni storicistiche e marxiste. Manca il punto di partenza ontologico e normativo: la natura umana eterna e trans-storica. Ad Hegel e Marx aggiungiamo Aristotele, quindi.

  4. Paolo Di Remigio ha detto:

    Simone, non mi sono spiegato bene. La concezione hegeliana che cercavo di esporre non è altro che la valorizzazione metodica di una valutazione aristotelica: Aristotele distingue tra l’inerte (la materia), il movimento imperfetto (irreversibile), il movimento perfetto, ossia l’attività formale, il finalismo che nell’uscire ritorna in sé. La mutevolezza che Hegel attribuisce alla verità non è il movimento imperfetto, quella propria del casuale (Hegel NON è uno storicista, come Preve ha ben visto, e meno che mai io lo considero tale), ma l’attività finalistica (finalismo interno nel senso kantiano). Poiché la mutevolezza della verità non è dispersiva ma la verità si alimenta dalla sua dispersione, ossia è come libertà che nell’altro è presso se stessa, la filosofia si tuffa nella casualità storica (nel moto imperfetto) sicura di estrarne l’eterno, cioè l’ampliarsi e l’approfondirsi della libertà. Insomma, tramite il concetto aristotelico di attività è possibile animare l’ontologia e insieme salvare la storia dalla sua casualità (da cui lo storicismo NON sa uscire). Quindi sono d’accordo con la tua esigenza anti-storicistica, perfettamente d’accordo; anziché però tenere ontologia e storia distanti, volevo modulare il loro rapporto con un motivo che la filosofia moderna e contemporanea (eccetto Hegel) ha completamente trascurato, quello della verità come ritorno in sé, cioè come libertà, che considero sì, proprio come ti esprimi tu, “base ontologica dell’essere umano”, ma anche essenza della conoscenza in generale.

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