Perché dico "No al federalismo"
di Stefano D'Andrea Il federalismo rischia di essere come il bipolarismo, come il maggioritario; come l’indicazione del nome del candidato presidente del consiglio sulla scheda elettorale; come la “libera concorrenza” e la svendita delle aziende pubbliche; come i contratti atipici, sorti in ambiente angloamericano, entrati nel nostro ordinamento per agevolare il commercio internazionale e infine approdati stabilmente nel commercio nazionale; come le “autorità indipendenti”( da chi?); come l’abolizione delle licenze commerciali; come l’abolizione dei minimi tariffari che proteggevano alcune libere professioni; come la (voluta) eliminazione del contratto di lavoro nazionale; come il processo accusatorio; come le riforme del diritto societario, industriale e fallimentare; come le riforme della legislazione bancaria, finanziaria e valutaria; come la riforma universitaria del 3+2; come l’autorizzazione di pressoché ogni attività di scommessa e di gioco; come la eliminazione della stabilità del rapporto di lavoro subordinato; come le televisioni nazionali non più solo pubbliche ma anche private. Tutte iniezioni di istituti alieni nel corpo dell’ordinamento giuridico italiano. Un flusso continuo di veleno, che, in poco più di venti anni, ha disordinato e scardinato un ordinamento – dunque uno Stato, che non era migliore né peggiore di altri e che aveva tuttavia caratteri propri – e impoverito, intristito e instupidito un popolo.
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Non ho obiezioni di principio contro il federalismo, anche se, a rigore, il federalismo vero è quello che “federa”, unendo stati diversi e sovrani, che federandosi perdono la sovranità. In Italia le federazione non fu possibile e fu necessaria la conquista egemonica piemontese, che alla fine fu per lo più accettata (come unica via percorribile) anche da chi, pur favorevole all’unificazione, l’aveva sempre avversata. Attuare oggi il “federalismo” significa creare o rafforzare centri politici parziali che si affiancano al centro politico della nazione, istituendo un rapporto dialettico tra i primi e quest’ultimo.
Le perplessità nascono dal caso concreto: l’Italia nella condizione in cui si trova oggi.
In primo luogo, l’Italia, non diversamente da altri stati europei , subisce da lungo tempo un intenso processo di erosione della sovranità.
L’erosione di sovranità ha proceduto verso l’alto: nei confronti della NATO e quindi degli Stati Uniti d’America; nei confronti degli organi dell’Unione europea e quindi del grande capitale finanziario e industriale (tedesco e francese in particolare); e, infine, nei confronti di quel guazzabuglio che viene chiamato lex mercatoria e che comprende, a mio avviso, anche il WTO: quindi a vantaggio, fino a qualche anno fa, degli Stati Uniti d’America e ora di varie potenze economicamente emergenti.
Peraltro, in Italia l’erosione della sovranità statale si è spinta anche verso il basso, a favore delle Regioni.
L’erosione continua della sovranità sta svuotando di poteri lo Stato italiano. Si tratta di una situazione nuova, creatasi soprattutto nell’ultimo ventennio, e che è all’origine dei dubbi sull’Unità d’Italia che cominciano a serpeggiare. Perché niente ci sembra più funzionare e perché tutto sta peggiorando? Perché lo Stato Italiano è stato svuotato della sovranità.
Al fattore della continua erosione della sovranità – la quale, verificatasi sotto profili parziali in seguito alla sconfitta della seconda guerra mondiale, ha avuto nell’ultimo ventennio un’accelerazione tale che nessuno trent’anni fa avrebbe mai potuto nemmeno immaginare – si affianca l’individualismo, che è la cifra della nostra epoca. Esso indebolisce tutti gli Stati. Perché getta nel dimenticatoio tutte le storie e le culture dei popoli, tutte le narrazioni, tutti i concetti che raggruppano collettività di persone, più o meno grandi (Stato, Popolo, Nazione, Classe, Partito, Corporazione, Ecclesia).
A questi due primi elementi, che nell’ultimo ventennio sono “esplosi”, sotto i profili sia quantitativo che qualitativo, va poi aggiunto l’elemento nuovo: la crisi economica.
La crisi economica – si tratta di incertezza per tutti e di povertà per alcuni – potrebbe durare un decennio o due. E nessuno oggi esclude che vi siano significative possibilità di crolli di sistemi economici nazionali. Per alcuni, in particolare per gli organi di stampa del grande capitale finanziario, ci sono possibilità che la Grecia, il Portogallo, la Spagna e anche la UE crollino. Per altri sarebbero gli Stati Uniti ad essere giunti ad un passo dal baratro. Io non mi sento di escludere un significativo crollo del sistema economico italiano se la crisi economica durerà molto tempo.
In situazioni di grande crisi gli Stati talvolta implodono. Tanto più implodono se sono già in movimento spinte centrifughe e se si tratta di Stati deboli perché composti da popoli di individualisti, non disposti a battersi e a resistere per una storia e un progetto comune, quale che sia.
Aggiungo, che il federalismo, attuato in questo momento storico, non soltanto aumenterebbe il rischio della implosione dell’Unità federale (che si vorrebbe costituire), bensì trasferirebbe poteri a ceti politici e burocratici che fino ad ora hanno dimostrato di essere meno preparati e più corrotti di quelli nazionali. Nelle regioni si annida la massima corruzione italiana.
Infine, l’Italia, più di ogni altro Stato, colpita da una grave crisi depressiva e invaghita degli Stati Uniti d’America, negli ultimi venti anni ha modificato un’enorme quantità di settori nevralgici dell’ordinamento, interrompendo un percorso che, con limiti ed errori, aveva una sua linearità, una sua logica e una sua storia. Si è venuto a creare un vero e proprio ordinamento disfunzionale, ingiusto e radicalmente in contrasto con il programma costituzionale.
Il federalismo rischia di essere come il bipolarismo, come il maggioritario; come l’indicazione del nome del candidato presidente del consiglio sulla scheda elettorale; come la concorrenza e la svendita delle aziende pubbliche; come i contratti atipici sorti in ambiente angloamericano, entrati nel nostro ordinamento “per agevolare il commercio internazionale” e infine approdati stabilmente nel commercio nazionale; come le “autorità indipendenti” (da chi?); come l’abolizione delle licenze commerciali; come l’abolizione dei minimi tariffari, che tutelavano dalla concorrenza alcune categorie di liberi professionisti; come la (voluta) eliminazione del contratto di lavoro nazionale; come il processo accusatorio; come le riforme del diritto societario, industriale e fallimentare; come le riforme della legislazione bancaria, finanziaria e valutaria; come la riforma universitaria del 3+2; come l’autorizzazione di pressoché ogni attività di scommessa e di gioco; come la eliminazione della stabilità del rapporto di lavoro subordinato; come le televisioni nazionali non più solo pubbliche ma anche private. Tutte iniezioni di istituti alieni nel corpo dell’ordinamento giuridico italiano. Un flusso continuo di veleno, che, in poco più di venti anni, ha disordinato e scardinato un ordinamento – dunque uno Stato, che non era migliore né peggiore di altri e che aveva tuttavia caratteri propri – e impoverito, intristito e instupidito un popolo.
Per queste ragioni, concrete e non astratte, che valgono ora e non in futuro e per sempre, sono contrario a dare attuazione, in un modo o nell’altro, al federalismo. Resta fermo che, se il federalismo si combatte politicamente esprimendo il punto di vista contrario e affilando gli argomenti contro la sua introduzione in questo momento storico, le secessioni si combattono militarmente, al fianco dell’esercito italiano.
Non saprei che commento fare. Questa volta sono d'accordo su tutto quanto hai scritto.
… e merita una pubblicazione su megachip.
Bell'articolo. Complimenti!
Il federalismo visto come sottoinsieme dell'insieme Globalizzazione non regge, serve solo ad ufficializzare la sempre più ridotta partecipazione alla già limitata sovranità nazionale.
Sono Eugenio Orso e approvo il contenuto del tuo articolo.
In particolare, il riferimento alla corruzione negli EELL, dalle regioni ai comuni, mi sembra molto appropriato.
Dopo aver ricevuto grandi palate di merda nei commenti su ComeDonChisciotte con il mio "Per colpire Berlusconi bisogna colpire la Lega", voglio chiarire con un interlocutore intelligente, che discute di federalismo non tatticamente [come nel mio articolo] alcuni punti che ritengo importanti, e per questo copio e incollo di seguito parte di un mio scritto più articolato del mio articoletto volante comparso su CDC:
In quest’ottica va visto lo stesso federalismo fiscale – minaccia incombente per buona parte delle regioni italiane, comprese alcune regioni settentrionali che entrerebbero in serie ambasce –, il quale federalismo, nell’attuale versione leghista, si accompagna all’illusione, diffusa ad arte fra il popolume bossiano, che “i soldi resteranno a nord”, cioè nelle sue tasche.
I “soldi che restano nelle nostre tasche” rappresentano un’illusione pericolosa, che i fatti puntualmente s’incaricheranno di smentire, e costituiscono, oggi, l’unica e la sola giustificazione del federalismo leghista capace di catturare il consenso dei cosiddetti ceti produttivi padani.
E pensare che nel 1993 l’ideologo leghista Gianfranco Miglio, a quel tempo eletto come indipendente nelle liste della Lega Nord ed oggi quasi del tutto dimenticato, metteva in guardia contro i “falsi federalisti”, descrivendo un progetto federale [che comunque lo scrivente non condivide, è bene precisare subito] ben più ambizioso, complesso ed articolato di ciò che Bossi chiama federalismo, il quale prevedeva un governo direttoriale [e non certo presidenziale o con l’estensione del potere del capo del governo] per garantire a tutte le repubbliche diritto di voto su materie importanti per l’intera federazione, la conseguente ricostruzione dello stato fin dalle sue fondamenta, sulla base di una rinnovata legalità, e infine un’ampia autonomia impositiva concessa ai municipi ed alle repubbliche federate …
Anche Miglio parlava, dal suo particolare punto di vista, di federalismo fiscale come passo decisivo della “rivoluzione”, senza il quale non ci potrebbe essere vero e compiuto federalismo, ma il fatto è che oggi il federalismo leghista sembra ridursi esclusivamente a questo – visto che le burocrazie politiche padane sono ormai del tutto interne al sistema di potere vigente – e rischia di provocare l’accentuarsi degli squilibri fra le regioni, rappresentando per l’intero paese una potente ed ulteriore spinta dissolutiva.
Inoltre, un rovesciamento del sistema fiscale come quello auspicato a suo tempo da Gianfranco Miglio, che dovrebbe andare dal basso verso l’alto, ampliando l’autonomia impositiva di municipi e regioni e riequilibrando la ricchezza sul territorio [Lega Nord, 17 dicembre 1993], oggi non può che rappresentare un concreto rischio di duplicazioni e una via per aumentare la pressione fiscale [anzitutto sui redditi di lavoro dipendente], poiché avverrebbe in un quadro di conti pubblici in bilico, con sempre minori coperture per la spesa, dovuto all’azione congiunta della crisi in atto e dell’evasione diffusa, che diminuisce progressivamente i redditi imponibili.
L’altro aspetto negativo rilevante da ricordare, è che ciò non può che avvenire nel quadro di uno stato la cui autonomia monetaria, finanziaria ed economica e la cui sovranità politica complessiva sono state abbondantemente ridotte dall’azione degli organi della mondializzazione [UE, UEM, BCE, FMI], imbrigliate attraverso accordi-capestro come i “patti di stabilità” europei, significativamente diminuite dal mancato controllo della moneta, oggi saldamente in mani private globaliste.
Il sogno ereditato da Miglio per una nuova costituzione federale di ampio respiro sembra essersi, dunque, definitivamente infranto, e ciò è accaduto, per quanto riguarda le ragioni endogene, per la stessa natura del consenso leghista e di quello berlusconiano, entrambi fondati sulla pratica del voto di scambio e sull’illegalità diffusa, nonché sulla tutela dell’interesse particolare di gruppi minoritari nella società italiana.
Saluti
Eugenio Orso
http://pauperclass.myblog.it/
Caro Eugenio,
l'articolo che hai incollato è eccellente e illustra bene come non vi sia ragione per essere contrari in via di principio al federalismo. Bisogna però verificare se l'idea di Miglio fosse realizzabile. Visto che nella realtà essa trova storicamente attuazione quando più stati si federano in un unico grande stato (federale) e gli stati forti ricevono un corrispettivo per la redistribuzione a favore di quelli deboli (strade e autostrade che collegano il paese; lavoro a costi contenuti, apertura di mercati, agevolazioni per investire negli stati deboli, ecc.). Nel nostro caso, la scelta reale (non quella ideale che attribuisci a Miglio, del quale confesso di non aver letto nulla) per il federalismo temo non possa che essere egoistica. In ogni caso certamente lo è nel caso della lega e dei leghisti. Quindi concordiamo in pieno.
Caro Stefano,
Voglio aggiungere una considerazione generale sul federalismo, e quindi sul decentramento, che non riguarda soltanto la degradata situazione italiana e gli imbrogli bossiani spacciati per riforme federali avanzate.
In quella che io considero la nuova bibbia capitalistica del terzo millennio in sostituzione della nota opera smithiana Wealth of nations, cioè Capitalism and Freedom di Milton Friedman [anno 1962], il vero padre del neoliberlismo più sfrenato e anarcoide individua nel mercato concorrenziale e nella libera iniziativa economica i pilastri della libertà, che le politiche del governo [leggi lo stato nazionale o federale] non devono compromettere o limitare, ma favorire in toto. Friedman, in Capitalismo e Libertà aggiunge a questi un ulteriore elemento per lui positivo, che è proprio il "decentramento", da intendersi sul piano amministrativo, politico ed anche fiscale. Infatti, se l’obiettivo liberal-globalista è quello di diminuire la sovranità politica e monetaria degli stati tradizionali, svuotandoli di contenuti concreti e di prerogative, ciò avviene “verso l’alto”, attraverso l’azione degli organi della mondializzazione che ben conosciamo, per far trasmigrare la decisione politica altrove, sottraendola al cosiddetto controllo democratico, ma anche “verso il basso”, decentrando alcune materie di interesse collettivo ed alimentando il fenomeno, sostanzialmente negativo e dissolutivo, conosciuto come “regionalismo”. Quindi, il decentramento politico, amministrativo e fiscale, che apparentemente avvicina la decisione su materie rilevanti alle persone e alle comunità locali, può diventare una via per diminuire ulteriormente la sovranità e le competenze degli stati, in accordo con gli interessi ultraliberisti e globalisti.
Alla luce delle considerazioni fatte, mi viene da ridere, quando sento parlare della Lega come forza comunitarista e antiglobalista, che difende le culture locali e le loro specificità, e quando si esalta il federalismo come la soluzione di tutti i nostri mali, o quasi.
Saluti
Eugenio Orso
Il Federalismo autentico e compiuto si riconosce dalla pluralità di codici legislativi : uno e un solo Codice Federale e tanti Codici Statuali (Cantonali) quanti sono i Cantoni federati
Mi spiego :
Il Federalismo si sviluppo’ storicamente all’interno di una dinamica corrente fra il principio della Difesa e quello della Giustizia
Vi è una connessione fra la materia della “difesa” e quella della “giustizia” , connessione che potremmo esprimere così : come l’esigenza di una comune difesa contro nemici esterni fu storicamente all’origine del patto federativo fra Stati territorialmente contigui , e sorse allora la Federazione , così allo stesso modo – ma specularmente – una diversa percezione sulla “giustizia” costituisce il vincolo (cioè un ostacolo) all’evoluzione del processo verso una piena fusione dentro ad un unico stato
Dunque , almeno sul piano storico , “difesa” e “giustizia” sono i due contrappesi della bilancia dello Stato Federale
Esplicitiamo il concetto di “giustizia” : intendo tutto un complesso di règole , usi , consuetudini , riti e costumanze che sono il frutto di un “comune sentire” di un popolo , della sua coscienza collettiva , così come si è conformata in virtù del rapporto con il territorio , in primo luogo , ed ha prodotto una certa caratteristica identita’ sociale , economica , culturale , e – infine – etnica ; identita’ che – insieme con il territorio cui è inscindibilmente legata – è differente da popolo a popolo
La giustizia non è il corpo di leggi stabilite da un Imperatore , un re , o da un parlamento democraticamente eletto : la giustizia è la soluzione che ogni Popolo si dà intorno all’eterno problema che ruota intorno alle polarità bene/male , giusto/sbagliato
In conclusione, la giustizia è l’espressione più autentica dell’identita’ psicologica di un popolo
Morale : in uno stato autenticamente federale la materia “giustizia” dovrà scindersi su due livelli ; un livello Statale , che riflettera’ gli aspetti maggiormente connessi a quella che è l’identita’ di un popolo (diritto di famiglia , delle successioni , dei contratti , della proprieta’ fondiaria etc. , e inoltre gli aspetti di più rilevante impatto emotivo della repressione penale) ; e un livello Federale competente per gli aspetti meno connessi all’identita’ medesima
Così , sul piano del diritto penale uno stesso reato , ad esempio l’omicidio , potrà essere punito più o meno severamente , secondo le diverse sensibilita’ delle singole Comunita’ statuali ; o addirittura potrà essere definito diversamente : ad esempio la soppressione del consenziente nel caso di eutanasia in alcune Comunita’ statuali potrà essere punito sotto il titolo dell’ omicidio , in altre no
In pratica , all’Autorita’ federale residuera’ la incriminazione di tutte le condotte idonee a minare il fondamento della stessa Autorita’ , più tutta la materia del diritto penale commerciale comune (la materia commerciale , per propria intrinseca vocazione , ha sempre richiesto la maggior armonizzazione possibile , ed anche storicamente si sviluppò in modo piuttosto allineato fra le grandi aree di influenza legislativa dell’Europa)
Un doppio binario , dunque , statale e federale , con le opportune norme di collegamento , atte a dirìmere i conflitti di competenza ; sul versante dell’organizzazione degli uffici giudiziari , vi sara’ – come negli U.S.A. – una magistratura statale e una federale , un ufficio del pubblico ministero statale e un ufficio del p.m. federale , con le rispettive norme procedurali
Senza doppio binario in tema di giustizia non vi è federalismo , si resta nel regionalismo
Facebook > Cantone Nordovest
Cantone Nordovest,
ribadisco che mi sembra ingenuo prendere partito sul dilemma federalismo si/federalismo no in astratto e senza riferimento a una realtà concreta, individuata non solo nello spazio ma anche nel tempo (momento storico).
Ciò che dici mi sembra una buon modo di organizzare un popolo. Resta da stabiire quali sono i criteri per individuare i cantoni. Se la creazioni di più stati federati da un unico stato regionale può davvero dirsi federalismo, perché non avviene alcuna federazione di realtà diverse. Se, sia sensato trasformare le regioni italiane in stati. Se le macro regioni sarebbero unioni – o meglio pezzetti dell'unità d'italia – artificiali. Se in questo momento storico, nel quale è venuta meno la coesione territoriale e la coesione sociale il federalismo italiano sia un passo utile a qualche fine o rischioso e finanche molto rischioso.
Insomma, in altri momenti storici sarei pronto a prendere in considerazione il progetto, che tuttavia non si addice alla realtà italiana, perché oltre l'Italia unita ci sono le province, le contrade e le città, non le regioni o le macro regioni (dovremmo abolire le regioni, non le province). Pertanto sarebbe necessaria tanta saggezza e tanto buon senso. Ma soprattutto è necessario superare il periodo critico che stiamo vivendo, nel quale è a rischio la stessa unità della nazione, anche se pochi se ne sono resi conto.
I discorsi sulla natura e la portata del federalismo sono a mio avviso fuori luogo. La Lega non vuole il federalismo, vuole sbarazzarsi in tutto o in parte del peso morto del Meridione. Fino a poco fa il progetto era di accollarne il sostentamento all’unione europea; la crisi della quale ad oggi rimescola le carte e lascia aperti tutti gli scenari.
Il discorso non è se se sia meglio il federalismo tipico del mondo germanico o il centralismo alla frencese, la dottrina di Miglio o la pratica di Bossi; il discorso è se, in che misura e in quali forme il nord ricco debba continuare a finanziare il sud povero. Il resto sono discorsi.
Che poi, all’interno della crisi, le rivendicazioni leghiste aprano un’ulteriore crepa nella scompaginata architettura nazionale, è evidente; che ciò venga interpretato in termini positivi o negativi, dipende dalle aspirazioni e dagl’ideali di ciascuno. L’egoismo dei padani che vogliono tagliare le sovvensioni non è diverso dall’egoismo dei meridionali che vogliono continuarle, o dall’egoismo collettivo degl’italiani nei confronti di chi è escluso dalla comunità nazionale. Lo stato unitario è una costruzione tanto arbitraria e transeunte quanto qualsiasi altra comunità politica.
Certo non è impensabile che, davanti alla crisi profondissima che ci aspetta, si innesti un processo di tipo yugoslavo. Questo, è bene ricordarlo, fu generato dall’ostilità fra le varie etnie repressa dal governo comunista, ma anche dalla violenta crisi economica causata dal venir meno dei rapporti privilegiati coll’Europa dell’est, e dalla volontà delle repubbliche settentrionali, più occidentalizzate, di lasciare a se stesso il “profondo sud” balcanico.
Io però tendo a credere che le guerre che ci aspettano travalicheranno le piccole patrie. Soprattutto da noi: il miglior insegnamento di Miglio è che gl’italiani son troppo sciapi per fare le guerre civili.