Cronache dall’Unione europea – Capitolo 2: il problema monetario e gli Eurobond
Cerchiamo di ripulire la cronaca europea degli ultimi giorni da fastidiosi tecnicismi, che rischiano di farci perdere di vista la semplicità delle questioni fondamentali.
Prima una parentesi a proposito di questi tecnicismi: il compito supremo di chi viene dal popolo e parla al popolo, oggi, è diventato riportare il dibattito politico alla sua dimensione sostanziale, liberandolo da quella tendenza tecnocratica che ha percorso tutta la Seconda Repubblica, secondo la quale i problemi fondamentali per la comunità devono essere discussi in separata sede dai cosiddetti competenti, perché i cittadini non possono capirci nulla e perché in fondo si tratta di trovare la soluzione oggettiva ad un problema di volta in volta finanziario, istituzionale, sanitario o di altro genere. Nulla di più ideologico dell’assenza ostentata di ideologia: ogni scelta politica, in una società avanzata e perciò divisa in classi sociali più o meno coscienti di esserlo, ha effetti sugli equilibri generali del sistema, liberando da vincoli e divieti una o più parti e limitando in qualche misura le libertà e i diritti sostanziali di altre parti. Politiche neutre non ne esistono. Diritti e doveri, divieti e libertà sono i contenuti essenziali della Politica. La Tecnica deve servire il Politico e non influenzare in nessun modo il pubblico dibattere. Chiusa parentesi.
Cosa sta succedendo, dunque, nell’Unione Europea, in seguito allo scossone inatteso del coronavirus? In fondo è semplice: la struttura giuridica che ha preso vita nel 1992 con Maastricht non è più in grado di reggersi in piedi da sola, perché il virus, diffondendosi e minacciando innanzitutto la sostenibilità dei sistemi sanitari, ne ha picconato le fondamenta. La caduta della produzione industriale che sta arrivando per tutti (non solo per l’Italia, come forse si illudeva qualcuno fino a qualche settimana fa) non consente di preservare inalterato un sistema fondato su tre pilastri:
– indipendenza della politica monetaria da quella fiscale, per mantenere bassi i prezzi interni all’Unione attraverso un deperimento programmato della domanda interna agli Stati (costretti di conseguenza ad arretrare il perimetro dell’intervento pubblico a favore dell’attività privata);
– centralità delle esportazioni, rese più convenienti dai bassi prezzi, così da crescere nel complesso contando sulla domanda esterna all’Unione (Stati Uniti e Cina in primis) e garantire a poche grandi multinazionali profitti che sarebbero irrealistici in un contesto di maggiore equilibrio economico interno agli Stati (salari più alti, sindacati più forti, industria nazionale sviluppata in tutti i settori necessari e indirizzata in prima istanza alla domanda interna…);
– libertà completa nella circolazione inter-nazionale dei capitali privati, delle merci e delle persone, per alimentare un circuito produttivo-commerciale che necessità della massima mobilità globale per ricercare il minimo costo Una struttura quindi costruita su misura sia per la Germania, che da molto tempo ha fondato su questo modello la sua ambizione economica e geopolitica, che sul grande capitale privato, che opera trasversalmente in tutti gli Stati europei (e non solo).
Concentriamoci in questo capitolo sul primo pilastro, quello monetario, visto che è quello in assoluto più importante per l’autoriproduzione del sistema. In sintesi, il punto politico è che non c’è nessun motivo tecnico per impedire agli Stati di finanziarsi il loro debito pubblico nel caso non lo facciano i mercati. Si tratta, appunto, di scelta politica, per costringerli a pietire i soldi di cui abbisognano, soprattutto in fasi emergenziali, in cambio dell’attuazione di politiche coerenti all’impianto sopra descritto. Ce lo dimostra la Banca Centrale Europea ogni volta che interviene per salvare l’euro, come successo ancora il 18 marzo con il piano da 750 miliardi di euro per l’acquisto di titoli di stato. Se l’istituto che emette la moneta dal nulla decide che gli Stati devono essere finanziati a costo zero, così è, con buona pace degli investitori privati (i mitici mercati) che vorrebbero invece lucrare un bel rendimento.
I mercati sono solo la clava di una politica nazionalista e di classe che si nasconde dietro la Tecnica. È chiaro che questa artificiosa penuria di moneta, per cui la Bce compra il debito degli Stati solo quando strettamente necessario per evitare il crollo dell’euro e vieta alle banche centrali nazionali di farlo, è lo strumento in assoluto più forte in mano a chi vuole mantenere in piedi una struttura fondata su prezzi bassi, stato minimo ed esportazioni massime. Ora però lo sconquasso che stiamo attraversando ha colpito gli altri due pilastri del sistema: la mobilità delle persone è ridotta ai minimi, in particolare a livello inter-nazionale, quella delle merci e dei capitali non potrà che subire forti contraccolpi, mentre al modello esportatore europeo e soprattutto tedesco verrà a mancare un quota decisiva di domanda (chi si compra le Mercedes a fonte di una recessione globale e se si impoveriscono troppo i consumatori italiani, francesi, spagnoli?).
Non può più funzionare, perlomeno nella lunga emergenza economica che ci aspetta, un sistema che lascia decidere ai mercati i tassi di interesse sui debiti nazionali e quindi impedisce di fatto agli Stati di sostenere adeguatamente la domanda. Di fronte al crollo di quella narrazione che voleva i mercati quali giudici naturali e la moneta quale merce scarsa per cui competere svendendo diritti, salari, standard ambientali e sanitari, occorre cambiare direzione ma evitando in tutti i modi che il cambiamento sia irreversibile. Questa è la prima e terribile preoccupazione di chi ha costruito e lucrato sul sistema europeo, il quale è articolazione particolarmente rigida del più ampio sistema globalizzato.
Ecco allora spiegate le opzioni oggi all’ordine del giorno nei segreti consessi europei:
1) consentire alla Bce di acquistare i debiti pubblici nazionali (sul mercato primario o secondario in fondo importa poco;
2) attivare un meccanismo che condizioni l’immissione monetaria necessaria alle solite politiche neo-liberali (probabilmente posticipate per questioni di sopravvivenza economica degli Stati, oltre che narrative);
3) attivare questo meccanismo ma distinguendo tra chi può permettersi di ricevere i soldi necessari senza dover promettere nulla in cambio (Germania, paesi satellite e in qualche modo Francia) e chi invece deve sottoscrivere impegni gravosi (il cosiddetto memorandum).
La prima opzione è quella scelta in questa fase di potenziale panico finanziario per calmare le acque e prendere tempo, in attesa che il 5 maggio la Corte tedesca di Karlsruhe (equivalente della nostra Consulta) si esprima in merito. La seconda opzione è il MES. La terza opzione è il MES riformato, che era già in programma prima che il coronavirus facesse emergere resistenze e rallentasse il progetto. Dove collocare gli Eurobond, che ritornano come un mantra ad ogni crisi? Teoricamente al punto primo: la Bce dovrebbe garantire questi titoli europei di nuova creazione assicurandone la solvibilità sul mercato e, in assenza di essa, acquistarli direttamente. Il problema tecnico della penuria di moneta a livello europeo sarebbe risolto, ma cadrebbe la logica deflattiva ed esportatrice del sistema perché ogni Stato avrebbe a quel punto le mani libere per perseguire un modello diverso da quello neoliberale insito nei Trattati.
La Germania, quella stessa Francia che al progetto europeo chiede da sempre un seconda giovinezza politica, e l’unione europea del grande capitale privato potrebbero mai permetterlo? Ognuno risponda come crede. Ecco allora che se anche il MES duro e puro (opzione 2) sembra insostenibile politicamente, in una fase di emergenza economica che origina da una seria emergenza sanitaria, il tentativo è di mascherare dietro la patina rassicurante degli Eurobond le condizionalità richieste dal MES stesso; evidentemente nella sua versione riformata (opzione 3), non potendo Germania e Francia permettersi di abbassarsi al rango di quei Paesi che subiscono politiche di austerità eterodirette.
Occhi aperti.
Una risposta
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