Cronache dall’Unione Europea – capitolo 4: Cosa interessa davvero alla Germania?
di SIMONE GARILLI (FSI Mantova)
Cerchiamo di capire quali sono i reali interessi in gioco ai tavoli europei, ragionando sui tre strumenti anti-crisi astrattamente possibili:
– Il Meccanismo Europeo di Stabilità
Il MES con condizionalità, l’unico esistente trattati alla mano, funziona così: i singoli Stati nazionali immettono nel fondo capitale (in parte versandolo e in parte impegnandosi a versarlo se richiesto); facendo leva su questo capitale (per l’Italia 14 miliardi già versati) il fondo emette titoli con i quali si finanzia sui mercati. Il finanziamento raccolto viene prestato allo Stato o agli Stati che chiedono assistenza in cambio della sottoscrizione di una lettera di intenti scritta insieme alla Commissione Europea e il cui rispetto è poi monitorato dalla cosiddetta Troika (Commissione, BCE, FMI), per conto dello stesso MES. Essendo il sostegno finanziario erogato a rate e di durata pluriennale, in capo alle istituzioni europee risiede un ampio potere di ricatto. In particolare, nel caso in cui i parametri macroeconomici dello Stato assistito differiscano dalle previsioni, il Consiglio Ue può decidere a maggioranza qualificata di cambiare il contenuto della lettera di intenti, senza che l’opinione dello Stato coinvolto sia dirimente. Si tratta quindi di una potenziale modifica unilaterale.
A garantire la solvibilità del debito pubblico nazionale durante l’applicazione della lettera di intenti c’è l’intervento selettivo della BCE sul mercato secondario, attraverso il programma OMT (che non può essere attivato senza ricorso al MES).
In breve, condizionalità formali e informali molto stringenti che assicurano la restituzione del prestito per mezzo di mirate politiche di austerità fiscale interna, rese sostenibili in termini di spread e stabilità finanziaria dalla copertura a tempo della BCE
– Gli Eurobond
Su questo concetto multi-uso va fatta chiarezza: a rigore gli Eurobond sono titoli di Stato europei. Significa che dovrebbe esistere uno Stato unitario europeo, dotato di un adeguato bilancio comune finanziato dal gettito fiscale degli Stati e di un ministro delle finanze che detenga la legittimità politica per trasferire le risorse raccolte con il gettito e con l’indebitamento pubblico in modo asimmetrico: la Germania riceverebbe sicuramente meno di quanto versato in termini di gettito, e si produrrebbe così un “residuo fiscale” tedesco dovuto al fatto che il reddito imponibile di quella regione è maggiore. Gli Eurobond richiederebbero perciò che Stati nazionali di tradizione secolare – inclusi Germania, Francia e Italia – si sciogliessero spontaneamente a favore di una entità politica superiore, che eventualmente lasciasse alle nuove regioni qualche forma di autonomia territoriale.
In evidente assenza di un tale scenario si potrebbe ancora parlare di Eurobond, in qualche misura, se i titoli comuni europei emessi da un veicolo ad hoc (ad oggi l’unico esistente senza condizionalità sarebbe la Banca Europea degli Investimenti) venissero acquistati direttamente o sul mercato secondario dalla BCE. L’emissione monetaria di quest’ultima andrebbe a sgravare i singoli Stati dal servizio del debito senza obbligarli a cedere tutta la loro sovranità ad un governo continentale. La mutualizzazione del debito sarebbe garantita dall’emittente della moneta e non direttamente dai bilanci nazionali.
Senza intervento della BCE a garantire le emissioni comuni del veicolo ad hoc dovrebbero invece essere i singoli Stati nazionali. Alcuni Paesi pagherebbero tassi di interesse inferiori, alcuni maggiori rispetto ad ora, e la Germania dovrebbe intervenire nel caso i Paesi del sud Europa non riuscissero più a ripagare la loro quota di debito comune.
Ad un livello ancora inferiore, al quale è temerario continuare a parlare di Eurobond, sta la proposta francese di un recovery plan: emissioni di titoli europei garantiti dal misero bilancio Ue, oggi pari all’1% del Pil Ue; ma come noto quel bilancio è finanziato dai trasferimenti dei singoli Stati e si tratterebbe perciò di una sostanziale partita di giro di dimensioni peraltro irrisorie
– Il finanziamento monetario della BCE
Unica via di fuga al MES, pertanto, rimarrebbe il finanziamento illimitato tramite emissione monetaria dei debiti pubblici nazionali da parte della BCE (sul mercato primario o secondario poco cambia). Questa opzione è vietata dai Trattati e dallo Statuto della BCE stessa.
Oggi la BCE, per tenere in piedi l’Unione e l’euro, acquista titoli pubblici nazionali in misura temporanea e limitata (1.100 miliardi nel 2020, dei quali 150-200 per l’Italia). Quando la coperta della BCE finirà, in assenza di Eurobond e di modifica dello Statuto della BCE, il MES non sarà più una opzione, ma l’unica opzione per gli Stati che non riusciranno a finanziarsi da soli sui mercati, dato come ovvio il crollo del gettito fiscale seguente al crollo del Pil. A quel punto avrebbe poco senso disquisire di MES sanitario, sarebbe MES. Punto e basta.
Allora, quale interesse cerca di difendere la Germania, e con lei l’Olanda e gli altri stati che gravitano attorno a quell’orbita economica e culturale?
Davvero ha paura di dover intervenire nella remotissima ipotesi che nonostante gli Eurobond o l’intervento illimitato della BCE gli Stati del Sud Europa non riuscissero a ripagare i loro debiti? Lo escluderei. Questa è la retorica spicciola da campagna elettorale permanente che la classe dirigente tedesca racconta da decenni al suo popolo, perché funziona da eccellente diversivo per unire una società divisa e profondamente diseguale come quella tedesca attorno al nemico comune (gli immondi spreconi meridionali).
Dietro al paravento del nemico comune c’è invece l’interesse delle classi dominanti tedesche: l’Europa dell’austerità.
Pensate davvero che il modello tedesco, fondato sulla repressione degli investimenti e della domanda interna giovi alle classi popolari di quel Paese? L’immagine dell’operaio Volskwagen che partecipa agli utili di impresa è appunto un’immagine, molto riduttiva rispetto ai milioni di lavoratori aggrappati ad uno o più mini-jobs. A godere, da quando c’è l’Unione Europea e poi l’euro, è il grande capitale tedesco votato alle esportazioni, a cui per crescere e rimanere competitivo serve un’Europa a sua immagine: inflazione zero (quindi alta disoccupazione), capitali liberi di muoversi e di acquistare aziende estere stritolate dalle politiche di austerità ed euro debole (più debole del marco, perlomeno).
Una costruzione semplicemente incompatibile con l’ipotesi di Eurobond e di finanziamento monetario dei debiti nazionali, non perché la Germania potrebbe dover astrattamente coprire i debiti altrui, ma perché l’esistenza stessa di alti debiti pubblici sostenibili e veicolati nell’economia reale farebbe crescere occupazione, salari e quindi inflazione in tutta Europa, minando alle fondamenta il modello euro-tedesco trainato dalla competitività di prezzo.
La Germania, in definitiva, non teme il debito pubblico, teme l’inflazione, e farà di tutto perché la baracca stia in piedi nella sua versione deflattiva, altrimenti ne uscirà, non avendo interesse alcuno a condividere sovranità per perdere competitività.
Qui i capitoli precedenti:
1: https://www.facebook.com/simone.garilli/posts/10219984648959773
2: https://appelloalpopolo.it/?p=56995
3: https://appelloalpopolo.it/?p=57285
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