L'uomo, la tecnica, la scuola, il latino e gli scacchi

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  1. Tonguessy ha detto:

    La scuola "deve consistere nel dirigere e nell'avviare tutte le attitudini e le capacità dei singoli individui verso quelle vie in cui possono più degnamente operare e progredire", dice il sempre ottimo Marchesi
    Altri tempi. Oggi io, lavoratore che pure sposo questa visione teorica ma sono ammalato di pragmatismo, mi auguro che i miei figli facciano una scuola professionale che sappia non tanto esaltare le loro capacità individuali, quanto dare loro la possibilità di un reddito.
    Sono infatti sicuro che le capacità individuali, pur esaltate da un percorso di studi lungo e difficile, trovino delle insormontabili forche caudine nell'autosostentamento del nuovo millennio. Un lavoro precario in un call center non mi sembra il metodo migliore per festeggiare le maturate capacità individuali.
    Mi trovo quindi costretto, mio malgrado, a consigliare soluzioni che nel tempo si dimostrino meno "performanti" dal punto di vista di "creazioni dell'intelletto e dello spirito", ma con enormi possibilità in più di portarsi a casa uno stipendio.
    Se posso consigliare un lettura simile ma ancora più illuminante sul ruolo della scuola e sul significato del suo degrado: Piero Calamandrei.
    http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&task=view&id=662&Itemid=43
     
    Magari vale la pena di postarlo per intero come articolo

  2. marco ha detto:

    Vorrei bilanciarmi tra Calamandrei e Marchesi, ma mi vedo costretto ad aggiungere qualche spunto di riflessione, sperando che sia interessante per tutti.

    La nostra scuola come si sa è opera di una riforma gentiliana che oggi compie 87 anni. Fu pensata e creata come scolpita nel granito, imperitura. Aveva come scopo confesso di creare “buoni cittadini”, e come scopo inconfessabile quello di perpetuare una società classista, quasi immobile, fortemente conservatrice.

    A distanza di tanti anni direi che la società è ancora fortemente classista, e che la scuola è in crisi ma ancora riesce nel suo compito disgregante e antisociale.

    Ma forse sono andato fuori tema, Calamandrei parla di giustizia sociale, ma Marchesi di programmi ministeriali e di contenuti, mi pare.
    Credo che non sia il sapere scolastico quello in crisi. I nostri figli più o meno – a causa delle nostre cure – sanno chi è Elpenore o Zeno Cosini. Ma non sanno distinguere un bersagliere da uno squadrista, credono che la strage di Piazza Fontana sia opera delle Brigate Rosse, e che De Gasperi fosse comunista.
    Non so a che cosa serva il latino, non ho le idee chiare, ma so a che cosa non può servire la scuola.
    A sostituire il presente perenne e lattiginoso che avvolge noi come una nebbia e ci offusca i ricordi, e che stravolge la mente dei nostri figli, con un passato altrettanto perenne e ancor più incomprensibile. Lasciando fuori, nell’oblio, le memorie che dovrebbero essere più importanti, quelle recenti. Quelle che dovrebbero unirci, e che infatti, non avendo più traccia di esse, non ci uniscono.
    Non è un caso che la Gelmini – e per la verità altri prima di lei – dicano “a scuola non si parli di politica”.

  3. Tonguessy ha detto:

    Scrive Marco: "so a che cosa non può servire la scuola.
    A sostituire il presente perenne e lattiginoso che avvolge noi come una nebbia e ci offusca i ricordi, e che stravolge la mente dei nostri figli, con un passato altrettanto perenne e ancor più incomprensibile. Lasciando fuori, nell’oblio, le memorie che dovrebbero essere più importanti".

    Come darti torto? La questione è che mezzo secolo fa (o più) queste cose erano date per assodate. Si pensava cioè che fosse fuori discussione il ruolo FORMATIVO (nel senso da te correttamente citato) della scuola.

    Usciti dal delirio nazifascita, la scuola aveva in nuce tutti quegli elementi di riscossa (e di restauro, in parte) che una nazione stanca di subalternità e con la voglia di schiena dritta poteva permettersi.

    Oggi la schiena dritta è solo una questione ortopedica, di squisita pertinenza ospedaliera (meglio ancora da clinica privata), e la riscossa è diventata ormai una questione di essere forti coi deboli.

    Lo scopo odierno dell'educazione scolastica è quindi diventato principalmente economico, e non più formativo. Infatti lo Stato non investe più nella scuola (o università), ma si appoggia al privato, fallendo così clamorosamente agli scopi stessi dello Stato democratico, ovvero GARANTIRE A TUTTI UGUALI DIRITTI.

    La metempsicosi postmodernista (o ultramodernista, ovvero nazista) prevede il invece garantire a pochi guadagni superiori.

    Gli altri si fottano.

  4. marco ha detto:

    ben detto
    Ma come fare politica a scuola? Quando ci stavo, a scuola, negli anni '80, qualche compagno più grande di me portava in classe istanze da circolo della Fgci. A me non dava fastidio, sapevo di essere usato ma non mi importava, anzi, mi piaceva l'idea che qualcuno avesse bisogno di me.
    Non ho figli in età scolare, ma credo che il sentimento medio oggi sia mutato. Lo studente medio non vuole intromissioni. Da una parte è giusto, sacrosanto. Dall'altra questi qui escono dalle classi tutt'al più per protestare contro i tagli (lì c'è ancora parecchio indottrinamento) o per manifestare per la pace… e chi è contro la pace?!? Facile manifestare per la pace. Troppo facile. Così com'è adesso, mi pare, la scuola non può aiutare il Paese a produrre una politica di qualità, forzando dal basso i temi, né può accogliere una politica di qualità dall'alto. Può solo subirla. Niente nuovo Sessantotto insomma.
    C'è chi dirà "menomale", ma è un fatto che i ragazzi oggi rimangono tali ben oltre la corrispondente fascia anagrafica.
    E le cose van peggiorando.

  1. 12 Novembre 2010

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