L'uomo, la tecnica, la scuola, il latino e gli scacchi
Ho sentito dire che la scuola deve formare l'uomo moderno; io non so che cosa sia quest'uomo moderno. La scuola deve formare l'uomo capace di guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l'uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell'epoca in cui vive (Concetto Marchesi).
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Leggendo questo discorso di Concetto Marchesi al V congresso del PCI, nonché lo scritto (del medesimo autore) inserito in calce al discorso, viene spontaneo esclamare: che cosa meravigliosa era la politica! Quante speranze; quanti grandi uomini; quante idee! Si tratta di un'epoca definitivamente tramontata? Possiamo soltanto augurarci di no, anche se temiamo di si. Ma per serbare la speranza non vi è alcun dubbio che dobbiamo tornare a nutrirci del passato (Stefano)
di Concetto Marchesi
Discorso al 5° congresso del PCI (6.1.1946).
I più concordano nel ritenere che nella scuola media unica [N.B.: inferiore] il profitto non debba consistere in una somma di cognizioni, ma in un complesso esercizio mentale ed in un esperimento di capacità; alcuni ritengono che insieme alla matematica, il latino, cioè lo studio grammaticale della morfologia e della sintassi della proposizione, sia la disciplina adatta per questo esercizio e per questo esperimento, altri ritengono invece che lo studio del latino sia tempo perduto. Io non sono d'accordo con questi ultimi, e vorrei essere ignorantissimo di latino per poter sostenere senza sospetto quella che ritengo la buona causa. La difesa maggiore del latino consiste nella domanda stessa che fanno isuoi avversari: a che cosa serve il latino? Appunto, non serve a niente di concreto, di visibilmente utile, non serve a dare vesti né cibo, non serve a far vedere come è congegnata una macchina, come funziona, come si guasta, come si ripara; non serve né all'economia privata né all'economia pubblica; serve soltanto all'esercizio, all'applicazione mentale sulla grammatica di una lingua che si studia con l'occhio soltanto e non con l'occhio e con l'orecchio.
E non si può fare questo studio sulla lingua italiana? domandano; no, rispondeva Antonio Gramsci. Il latino si studia – egli diceva – si analizza nei suoi membretti come una cosa morta; ma ogni analisi fatta da un fanciullo non può essere che su cosa morta. La lingua italiana il fanciullo la sente parlare variamente, dai suoi genitori, dalle persone della casa, della strada, della scuola, frammischiata, corrotta, alterata se non è in paese di Toscana; e se anche è in paese di Toscana essa giunge al suo orecchio con varietà di suoni, di accenti, di termini, di locuzioni, di nessi secondo la persona che la parla.
La lingua latina non la parla nessuno, non la si ascolta da nessuno, vive nelle pagine mute della sua grammatica, dei suoi libri di aneddoti, di sentenze, di favole con la immobile certezza delle sue forme.
Ma, si dice, non si potrebbe fare questo studio sulla lingua francese? Ma, rispondeva Antonio Gramsci, una lingua viva può essere conosciuta e basterebbe che un fanciullo solo la conoscesse perché l'incanto fosse rotto e tutti accorrerebbero alla scuola media per impararla più presto e forse anche meglio; e voi sapete che quando si vuole giustificare la scarsa o la cattiva conoscenza di una lingua viva si dice di averla studiata nella scuola. "Ma il latino è difficile e faticoso"; senza dubbio, appunto perché esso impone un continuo controllo allo scolaro il quale non può andare avanti se ha dimenticato quello che ha prima imparato. Ma la difficoltà, la noia, la fatica sono alla base di ogni sentiero che porta verso l'alto.
Non parlo, compagni, per amore del latino; come ho già detto in precedenza se io fossi sicuro che il giuoco degli scacchi potesse portare a uguali risultati, opterei per il giuoco degli scacchi.
Stiamo attenti, compagni; le grandi catastrofi come quella che ha colpito l'Italia e l'Europa, le grandi catastrofi tendono a portare in basso l'umanità; facciamo in modo di non aiutarla questa discesa che oggi sarebbe un precipizio. Oggi c'è chi crede che siamo ad una nuova epoca di cultura; io direi in un nuovo ciclo di civiltà (civiltà è il termine preciso, giusto, che nel suo rapporto ha adoperato il compagno Togliatti). Il progresso miracoloso della tecnica negli strumenti di lavoro e di produzione ha enormemente abbreviato il limite di trapasso dalla civiltà capitalistica verso la nuova civiltà socialistica; un trapasso che porterà un nuovo ordine giuridico e morale del mondo. Ma civiltà diversa non vuol dire umanità diversa e non vuol dire cultura diversa; la storia non è nuova a questi grandi cicli che hanno tramutato la struttura economica, politica e sociale delle genti senza naturalmente tramutarne la struttura intellettuale e spirituale: da Pitagora siamo passati a Copernico, a Newton, a Galilei, dagli atomisti della Grecia siamo passati alla bomba atomica; dai drammi di Eschilo siamo passati a Shakespeare, la più grande opera della poesia umana; dal romanzo medievale siamo passati ai romanzi moderni di Francia, di Russia, di Germania, di America restando nello stesso corso infinitamente progressivo di indagine scientifica e di creazione artistica. Noi stiamo subendo l'abbaglio della tecnica e l'incanto del motore; c'è chi crede che il mondo sia tutto trasformato e rimutato dalla tecnica solo perché il motore domina nel meccanismo esterore della nostra esistenza, perché le distanze sono enormemente abbreviate e quasi scomparse, perché la terra è rimpicciolita ai sensi dei mortali, perché poderose braccia metalliche sono mosse in un crescente vortice di produzione da esili dita, dalle piccole braccia dell'uomo esperto; ma quest'uomo esperto, quest'uomo mortale, questa cosa da nulla, come diceva di Ulisse il ciclope Polifemo, resta il massimo miracolo della terra non solo attraverso le scoperte della meccanica e della fisica, ma anche e più attraverso l'attività e le creazioni dell'intelletto e dello spirito.
Ho sentito dire che la scuola deve formare l'uomo moderno; io non so che cosa sia quest'uomo moderno. La scuola deve formare l'uomo capace di guardare dentro di sé e attorno a sé; a formare l'uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell'epoca in cui vive.
Passati i limiti della scuola obbligatoria, giunti sulle soglie della scuola specializzata, della scuola professionale, della scuola media superiore, si deve iniziare l'opera salutare di selezione che Quintino Sella, il vecchio statista piemontese, auspicava senza vederne i modi e la possibilità di attuazione, quest'opera di selezione la quale deve consistere nel dirigere e nell'avviare tutte le attitudini e le capacità dei singoli individui verso quelle vie in cui possono più degnamene operare e progredire. Selezionare non vuol dire costituire la folla degli umiliati e dei reietti, vuol dire disperdere la folla degli spostati e per spostati intendo semplicemente coloro ai quali le facoltà naturali indicano altre strade degnissime di opera e di profitti che non siano quelle delle scuole superiori.
[…] link http://www.ecn.org/filirossi/marchesi2.html
A coloro che sono interessati al tema segnalo un successivo scritto di Concetto Marchesi che può leggersi al seguente link: http://www.lucrezio.org/LUCREZIO.ORG/03-COMUNICAZIONE/N01-Seminaria/20100208-LCR-MRC-LinguaLatina.pdf
La scuola "deve consistere nel dirigere e nell'avviare tutte le attitudini e le capacità dei singoli individui verso quelle vie in cui possono più degnamente operare e progredire", dice il sempre ottimo Marchesi
Altri tempi. Oggi io, lavoratore che pure sposo questa visione teorica ma sono ammalato di pragmatismo, mi auguro che i miei figli facciano una scuola professionale che sappia non tanto esaltare le loro capacità individuali, quanto dare loro la possibilità di un reddito.
Sono infatti sicuro che le capacità individuali, pur esaltate da un percorso di studi lungo e difficile, trovino delle insormontabili forche caudine nell'autosostentamento del nuovo millennio. Un lavoro precario in un call center non mi sembra il metodo migliore per festeggiare le maturate capacità individuali.
Mi trovo quindi costretto, mio malgrado, a consigliare soluzioni che nel tempo si dimostrino meno "performanti" dal punto di vista di "creazioni dell'intelletto e dello spirito", ma con enormi possibilità in più di portarsi a casa uno stipendio.
Se posso consigliare un lettura simile ma ancora più illuminante sul ruolo della scuola e sul significato del suo degrado: Piero Calamandrei.
http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&task=view&id=662&Itemid=43
Magari vale la pena di postarlo per intero come articolo
Vorrei bilanciarmi tra Calamandrei e Marchesi, ma mi vedo costretto ad aggiungere qualche spunto di riflessione, sperando che sia interessante per tutti.
La nostra scuola come si sa è opera di una riforma gentiliana che oggi compie 87 anni. Fu pensata e creata come scolpita nel granito, imperitura. Aveva come scopo confesso di creare “buoni cittadini”, e come scopo inconfessabile quello di perpetuare una società classista, quasi immobile, fortemente conservatrice.
A distanza di tanti anni direi che la società è ancora fortemente classista, e che la scuola è in crisi ma ancora riesce nel suo compito disgregante e antisociale.
Ma forse sono andato fuori tema, Calamandrei parla di giustizia sociale, ma Marchesi di programmi ministeriali e di contenuti, mi pare.
Credo che non sia il sapere scolastico quello in crisi. I nostri figli più o meno – a causa delle nostre cure – sanno chi è Elpenore o Zeno Cosini. Ma non sanno distinguere un bersagliere da uno squadrista, credono che la strage di Piazza Fontana sia opera delle Brigate Rosse, e che De Gasperi fosse comunista.
Non so a che cosa serva il latino, non ho le idee chiare, ma so a che cosa non può servire la scuola.
A sostituire il presente perenne e lattiginoso che avvolge noi come una nebbia e ci offusca i ricordi, e che stravolge la mente dei nostri figli, con un passato altrettanto perenne e ancor più incomprensibile. Lasciando fuori, nell’oblio, le memorie che dovrebbero essere più importanti, quelle recenti. Quelle che dovrebbero unirci, e che infatti, non avendo più traccia di esse, non ci uniscono.
Non è un caso che la Gelmini – e per la verità altri prima di lei – dicano “a scuola non si parli di politica”.
Scrive Marco: "so a che cosa non può servire la scuola.
A sostituire il presente perenne e lattiginoso che avvolge noi come una nebbia e ci offusca i ricordi, e che stravolge la mente dei nostri figli, con un passato altrettanto perenne e ancor più incomprensibile. Lasciando fuori, nell’oblio, le memorie che dovrebbero essere più importanti".
Come darti torto? La questione è che mezzo secolo fa (o più) queste cose erano date per assodate. Si pensava cioè che fosse fuori discussione il ruolo FORMATIVO (nel senso da te correttamente citato) della scuola.
Usciti dal delirio nazifascita, la scuola aveva in nuce tutti quegli elementi di riscossa (e di restauro, in parte) che una nazione stanca di subalternità e con la voglia di schiena dritta poteva permettersi.
Oggi la schiena dritta è solo una questione ortopedica, di squisita pertinenza ospedaliera (meglio ancora da clinica privata), e la riscossa è diventata ormai una questione di essere forti coi deboli.
Lo scopo odierno dell'educazione scolastica è quindi diventato principalmente economico, e non più formativo. Infatti lo Stato non investe più nella scuola (o università), ma si appoggia al privato, fallendo così clamorosamente agli scopi stessi dello Stato democratico, ovvero GARANTIRE A TUTTI UGUALI DIRITTI.
La metempsicosi postmodernista (o ultramodernista, ovvero nazista) prevede il invece garantire a pochi guadagni superiori.
Gli altri si fottano.
ben detto
Ma come fare politica a scuola? Quando ci stavo, a scuola, negli anni '80, qualche compagno più grande di me portava in classe istanze da circolo della Fgci. A me non dava fastidio, sapevo di essere usato ma non mi importava, anzi, mi piaceva l'idea che qualcuno avesse bisogno di me.
Non ho figli in età scolare, ma credo che il sentimento medio oggi sia mutato. Lo studente medio non vuole intromissioni. Da una parte è giusto, sacrosanto. Dall'altra questi qui escono dalle classi tutt'al più per protestare contro i tagli (lì c'è ancora parecchio indottrinamento) o per manifestare per la pace… e chi è contro la pace?!? Facile manifestare per la pace. Troppo facile. Così com'è adesso, mi pare, la scuola non può aiutare il Paese a produrre una politica di qualità, forzando dal basso i temi, né può accogliere una politica di qualità dall'alto. Può solo subirla. Niente nuovo Sessantotto insomma.
C'è chi dirà "menomale", ma è un fatto che i ragazzi oggi rimangono tali ben oltre la corrispondente fascia anagrafica.
E le cose van peggiorando.