Che l’inse? Quando il popolo si ribellò e vinse
di Davide Visigalli (FSI Liguria)
5 Dicembre 1746, Genova.
Oggi, 5 Dicembre 2016, ricorre il 270 anniversario.
Oggi si ricorda il gesto di un fanciullo, il gesto del “Balilla”.
Il nome “Balilla” non ha, come molti credono, origini fasciste, ma deriva da un evento storico. Esso infatti deriva dalla rivoluzione di Portoria del 1746. Ecco la descrizione dei fatti:
(da http://www.ilcaffaro.com/balilla.php)
Nel 1740, alla morte di Carlo VI°, alla figlia Maria Teresa, sicura di succedere al padre sul trono imperiale, viene preferito il Duca di Baviera (Carlo VII°). Il 13 settembre 1743, con il trattato di Worms, il Marchesato di Finale, già acquistato dalla Repubblica di Genova nel 1713, viene promesso da Maria Teresa al Regno di Sardegna. La Repubblica si vede costretta a firmare l’Alleanza di Aranjuez (1 maggio 1745) con Francia, Spagna e Napoli in difesa dei propri diritti violati a Worms. Allo scoppio delle ostilità si registra una serie di successi delle truppe francesi, spagnole e napoletane. La sconfitta di Piacenza, 16 giugno 1746, ferma l’avanzata degli alleati e inverte le sorti della guerra. Le truppe franco-spagnole riparano a Genova per poi abbandonarla proseguendo la ritirata. La città resta indifesa. Il 4 settembre 1746 gli austriaci sono a San Pier d’Arena(Sampierdarena). Le trattative diplomatiche con il Generale Brown risultano vane. Il 6 settembre 1746 la situazione già critica precipita con l’arrivo del Marchese Antoniotto Botta Adorno. Nonostante appartenga al patriziato genovese, nutre forte rancore per ragioni familiari nei confronti della Repubblica. Il Marchese, evidentemente accecato dall’odio, avanza richieste umilianti ed economicamente esosissime. Le pretese eccessive, l’occupazione dei punti chiave di Genova, il tentativo di sottrarre le artiglierie cittadine e il comportamento delle truppe, portano, il 5 dicembre 1746, alla rivolta popolare.
Ma entriamo nei dettagli della vicenda leggendo questo bel testo che ho trovato in rete:
(Da https://dearmissfletcher.wordpress.com/2011/11/14/balilla-il-ragazzo-che-lancio-il-sasso/)
Gli Austriaci occupano la città e i genovesi sono privati della loro indipendenza. È inverno, è il 5 dicembre 1746, serpeggia lo scontento, i cuori battono come tamburi, la rabbia cresce ormai da giorni. Nella piazza di Portoria, i soldati austriaci stanno trasportando un mortaio, che, a causa del peso eccessivo, provoca il cedimento della strada. I soldati intimano ai genovesi di aiutarli, ma questi, sdegnati, rifiutano. Come è prevedibile, la reazione degli austriaci è violenta, prendono a minacciare il popolo, perché obbedisca all’ordine impartito. Un ragazzo, con un gesto, accende la miccia della rivolta, infiamma gli animi e fa esplodere quel malcontento che da tempo alberga nel popolo tutto. È lì, tra i suoi concittadini, è appena un adolescente, un fanciullo imberbe. E non teme nulla, a lui il nemico non fa paura. Pronuncia una frase, in dialetto, poche parole che passeranno alla storia: Che l’inse? Il loro significato è: la comincio? E scaglia un sasso contro un ufficiale austriaco. Balilla la comincia così, la rivolta. Il popolo lo segue, piovono pietre sull’esercito nemico, e quelli che le tirano sono falegnami, facchini, pescivendoli, ciabiattini, merciai, è l’insurrezione. Il 10 dicembre, cinque giorni dopo, la gente di Genova trionferà sull’invasore.
Questa è la storia. Poco importa la vera identità del ragazzo, fatto sta che scagliò il sasso.
Il mito supera la realtà, va oltre, si imprime nella memoria storica e resta inciso per l’eternità; e così Goffredo Mameli, il cantore dell’Unità e autore del nostro inno nazionale, dedicherà un verso al suo giovane concittadino, queste sono le sue parole: i bimbi d’Italia si chiaman Balilla.
Ma la storia non si ferma qui, si tramuta in leggenda e arriva fino a noi:
Molto dopo, Genova venne di nuovo invasa dai tedeschi. Fu al tempo della Seconda Guerra Mondiale, altri anni cupi e durissimi. Michelangelo Dolcino, fedele cronista delle storie della Superba, narra che in quegli anni, sul monumento dedicato a Balilla, in Portoria, una mano ignota scrisse:“Chinn-a zù, che son torna chì.” Scendi giù, che sono di nuovo qui.
Il resto lo conosciamo, anche quella volta, Genova e il suo popolo si liberarono da soli dall’invasore.
Riprendendo le parole dello storico Federico Donaver si può dire che il monumento di Portoria anziché un eroe rappresenta «l’ardire generoso d’un popolo che, giunto al colmo dell’oppressione, spezza le sue catene e si rivendica la libertà».
Grazie al Balilla, grazie al popolo.
Noi oggi ricordiamo le gesta e la storia del Balilla sia per non dimenticare un’impresa del popolo genovese e italiano, sia per emularne lo spirito in questi tempi in cui l’invasore è meno visibile di allora ma non meno soffocante.
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