La prima fase della guerra (di liberazione e) di posizione è stata vinta: le parole, un tempo prigioniere, sono evase e tornate in circolazione.
di Stefano D’Andrea pubblicato anche su forum.riconquistarelasovranita.it
Stiamo vivendo una fase storica caratterizzata, in molti popoli o in molte rilevanti minoranze nazionali, dalla rinascita di un "sentimento" di indipendenza, o dall'intuizione che l'indipendenza potrebbe "convenire" e persino essere la "strada obbligata" per uscire da quella che è percepita come una situazione di crisi. E si ragiona solo sul piano economico; perché se si tenesse conto dei profili culturali, sociali e antropologici, l’indipendenza apparirebbe immediatamente come il faro luminoso.
In casi rari, vi è anche la consapevolezza che sovranità e indipendenza sono i massimi valori collettivi, perché designano, nella descrizione dei rapporti con altri ordinamenti e stati, la libertà dei popoli; ma spesso questa consapevolezza ancora non c'è.
Vi sono tuttavia popoli che hanno sempre preservato, pur nella povertà o in una vita sociale economicamente modesta, il senso pieno della sovranità e dell'indipendenza. Essi oggi manifestano senz'altro una chiara e sacra volontà di resistenza. E se di volontà di potenza globale ve n’è una sola, quella degli Stati Uniti, parecchie sono le volontà di potenza regionali. Qual è, in questo contesto, la situazione dell’Italia?
Io non sono pessimista e non do un giudizio negativo. Tre anni fa l’Italia era stata distrutta; non esisteva più nemmeno nel pensiero degli italiani. Ora le cose sono un po’ migliorate.
Soltanto tre anni fa, quando scesi nelle catacombe di internet, intitolando il blog "Appello al Popolo", moltissimi mi chiedevano con strafottenza "che cosa è il popolo"? Molti temevano che fossi un nazionalista. La parola "sovranista" si è diffusa soltanto di recente. La parola "patriota", pur avendo nobile e lunga tradizione, anche e soprattutto nella sinistra (risorgimentale, socialista e comunista), era quasi assente, non soltanto nel linguaggio politico e giornalistico del pensiero unico, bensì anche sulla rete. Essa invece ha fatto capolino e pian piano si va facendo strada. Lo Stato nazionale, che quasi tutti consideravano in via d’estinzione, appare a molti come l’ancora di salvezza. Anche “pubblico”, che da parola sacra, era stata chiusa in una prigione, è riuscita a fuggire. E i benecomunisti stanno già perdendo la battaglia con chi torna a parlare di beni pubblici. Per ora si avverte l’esigenza di banche pubbliche, di deficit pubblico (produttivo) e finanche di imprese pubbliche. Tornerà anche il tempo delle pensioni pubbliche e della scuola pubblica. Quanti erano coloro che sostenevano che l’Unione europea dovesse essere “distrutta”, come scrivevo nel mio manifesto personale? Ora sono molti ma molti di più a volere la “distruzione dell’unione europea”. Nella rete le parole sovranità, indipendenza, patria, sovranismo, nazionalizzazione o controllo pubblico delle banche hanno ormai una loro solida base di consenso, molto trasversale rispetto all’asse politico al quale ci avevano costretti per anni. Oggi tutti devono onestamente constatare che in pochi anni il linguaggio è in parte cambiato.
A tutti coloro che si sentono desiderosi di intraprendere una battaglia politica per la piena riconquista della sovranità, suggerisco di non preoccuparsi se non saremo capaci di organizzare con immediatezza una forza sovranista che possa partecipare con qualche minima pretesa alle prossime elezioni politiche. Se guardiamo, come dobbiamo, almeno al medio periodo, dobbiamo avere pazienza. E dobbiamo anche saper gioire delle piccole vittorie. Quali? Le ho indicate: le vittorie consistono nella diffusione e nel vigore che stanno assumendo alcune parole d’ordine, che sono il nostro grido di battaglia. Con esse avanzano sentimenti, potenziali rimescolamenti dell'asse politico, concetti e idee.
Le parole sono pietre ma sono soprattutto potenza dell'anima e del pensiero. Le parole che possono guidare la liberazione – popolo, sovranità, indipendenza, patria, economia nazionale, economia pubblica, decolonizzazione (dell'immaginario) e alcune altre -, a lungo assopite, si sono svegliate e cominciano a suonare e a comunicare, suscitando sentimenti, idee e volontà. Esse sono l'inno della riscossa. Ripetiamole spesso. Utilizziamole nel linguaggio quotidiano. Facciamo che i nostri interlocutori si stupiscano nell'ascoltarle; e poi riflettano; e la volta successiva avvertano con stupore una qualche vibrazione ovvero un sentimento di inquietudine e sospetto. Cominciamo a dividerci sulla base dell’accettazione o del rifiuto di quelle parole. Uniamoci e organizziamoci attorno ad esse. Sono i nostri capi e le nostre guide. Sono esse che ci condurranno alla vittoria e alla liberazione. In certo senso sono il nostro Dio laico: “In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio”, secondo una interpretazione un po’ pagana o laica della Bibbia. Senza quelle parole eravamo privi di Dio: non potevamo costruire una comunità di fedeli, né una dottrina. Ora è possibile
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