La scelta strategica è l’uscita dall’euro o il default?
Riflessioni in forma di lettera agli iscritti e ai simpatizzanti di Alternativa nonché ai sostenitori dell’appello “Dobbiamo fermarli”
di Stefano D’Andrea
Cari amici,
ho letto la bozza del programma di Alternativa, nella quale si propone una “ristrutturazione del debito” , con garanzia di pagamento integrale soltanto del debito detenuto dalle famiglie (1). E so che, come ho fatto io, molti iscritti ad Alternativa hanno sottoscritto l’appello “Dobbiamo fermarli”, contenente cinque proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche (2). Nell’appello si propone, con maggiore radicalità rispetto alla bozza del programma di Alternativa, di “Non pagare il debito”.
Né la bozza del programma di Alternativa né l’appello “Dobbiamo fermarli” propongono l’uscita dall’euro (3). Si vorrebbe un default senza ritorno alla moneta sovrana e conseguente svalutazione, più o meno moderata. Non essendo un economista, non so dire con certezza se una simile opzione sia percorribile. I precedenti storici mostrano che si è sempre ricorsi alla svalutazione. L’Argentina ha dichiarato default e ha svalutato al cambio di 2 a 1, abbandonando la moneta austral, legata al dollaro, per tornare al vecchio “peso” (4).
Tuttavia, il problema, a mio avviso, non è economico, bensì semplicemente politico. Infatti, se il default al quale alludete non è un piccolo default concordato con le autorità europee (una piccola riduzione del debito con allungamento dei tempi di restituzione), bensì un default molto rilevante o addirittura la cancellazione del debito, esso colpirebbe fortemente le banche e rischierebbe di creare un’enorme crisi bancaria nei paesi europei economicamente e politicamente più forti, specialmente in Francia e in Germania. Nei casi più gravi che è dato ipotizzare, si tratterebbe di una dichiarazione di guerra, o quasi. Come potete pensare che l’unione monetaria resisterebbe? La rabbia degli azionisti delle banche (decine se non centinaia di migliaia di cittadini europei, in primo luogo francesi e tedeschi), dei correntisti e in genere dei creditori delle banche fallite, dei lavoratori licenziati, degli imprenditori che avrebbero difficoltà a reperire credito si farebbe sentire e troverebbe il consenso dei cittadini e quindi della politica di quei paesi. Un default subito da banche straniere non colpisce soltanto gli interessi economici dei titolari del grande capitale finanziario; colpisce la borghesia di un paese, oltre che quella parte dei ceti medio e medio-basso che è dotata di qualche risparmio; colpisce altresì, direttamente e indirettamente, i lavoratori. Ciò è tanto più vero se una grossa parte dei titoli del debito annullato (o fortemente ristrutturato) è posseduta da un ristretto numero di grandi banche di pochi paesi. Le rottura mediante un notevole default è gravida di conseguenze, forse peggiori di quelle che conseguirebbero alla uscita dall’euro, con conseguenti svalutazione e parziale default. Aggiungo che, sia pure indirettamente, moltissime famiglie di risparmiatori italiani rischierebbero di essere penalizzate(5).
E’ necessario, dunque, riflettere sulle conseguenze di un’eventuale uscita dall’euro. Tanto più che, secondo il parere di molti e ormai persino di editorialisti del Sole 24 ore, l’euro rischia la disintegrazione a prescindere dall’esistenza di forze politiche che, all’interno dei singoli paesi, decidano di uscire dall’unione monetaria. Lo scenario della disintegrazione dell’unione monetaria, dunque, deve essere studiato. Perché è possibile che l’uscita dall’euro sia un elemento necessario e oggi ancora mancante dei programmi di Alternativa e dei sostenitori dell’appello “Dobbiamo Fermarli”. E perché è possibile che la disintegrazione dell’unione monetaria si realizzi per uno o altro “incidente”, ossia per implosione. Non credo si possa dubitare che, se la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca avesse avuto contenuto diverso, l’unione monetaria si sarebbe già dissolta (6).
Aggiungo che tornare alla moneta nazionale appare come un potere concesso agli stati fin dalla notte dei tempi; un potere, credo, mai negato ad alcuno stato. Seppure fosse fondata la tesi che lega inscindibilmente l’abbandono dell’euro e il recesso dai trattati europei, comunque uscendo dai trattati e dall’euro si eserciterebbe un legittimo potere. Tanto più che da tutti i trattati internazionali si recede invocando la clausola (secondo la quale il trattato vincola) rebus sic stantibus. E noi saremmo in una situazione del tutto eccezionale.
Diversamente, al default si possono trovare tutte le giustificazioni morali del mondo; ma default significa pur sempre: “io ti devo restituire i soldi che mi hai prestato ma non te li restituisco”. Converrebbe riservare il default assoluto (il completo annullamento del debito) soltanto alle grandi occasioni: alle rivoluzioni. I bolscevichi annullarono i debiti (e i crediti) dello stato ma erano rivoluzionari che instaurarono una rivoluzione e introdussero principi del tutto nuovi. Non è la stessa cosa se uno stato annulla il debito al fine di “mantenere il tenore di vita dei cittadini”, in un sistema giuridico-economico sostanzialmente inalterato, che magari conservi il credito al consumo, le carte di credito revolving, i mutui immobiliari trentennali e la televisione commerciale!
Sorge dunque il dubbio che la scelta strategica e opportuna sia l’uscita dall’euro – e dall’Europa: o perché l’Europa c’impone questa condizione per uscire dall’euro; o perché, una volta usciti dall’euro, l’Europa ci caccia; o perché volontariamente usciamo dall’euro e dall’Europa. Sorge il dubbio che la liberazione si ottenga attraverso l’uscita dall’euro. Che il vincolo sia l’euro. Che l’euro sia il cappio. Una volta usciti dall’euro (e dall’Europa – le due cose ormai stanno e si tengono insieme, come ha ammesso candidamente la Merkel) si potrebbe optare per un default, ristrutturando i debiti (già svalutati) con i singoli grandi creditori e distinguendo per categorie con riguardo agli altri creditori. Inoltre potremmo decidere di pagare parzialmente i creditori che, nell’immediato, ci rinnovano il credito, ovviamente prevedendo interessi più bassi, e di non pagare chi rifiuta la proposta.
La scelta strategica – la liberazione, parola che ci è cara – è l’uscita dall’unione monetaria (e dall’unione europea) e una conseguente svalutazione (con automatica prima riduzione del debito estero). La ristrutturazione è l’arma che useremmo nella situazione di emergenza. La ristrutturazione sarebbe un rimedio tattico, da affiancare alla scelta strategica. D’altra parte, sull’euro è diffusa una certa forma di terrorismo. Molto spesso l’uscita dall’euro è valutata come un disastro, senza tuttavia precisare in che cosa consisterebbe tale disastro. Seppure talvolta si tenta di abbozzare l’elenco delle conseguenze negative, è rarissimo trovare un commentatore che provi ad indicare anche le conseguenze positive. Possibile che non ve ne siano? Possibile che ad alcuni l’uscita non converrebbe? Chi sono coloro ai quali converrebbe? Possibile che tra le infinite norme che l’Europa ci impedisce di emanare (in via di diritto o di fatto), non ve ne siano alcune che da tempo desiderate introdurre o reintrodurre nel nostro ordinamento?
La materia è molto incerta ed è di fondamentale importanza giungere ad avere idee chiare.
Per questa ragione abbiamo convocato un’Assemblea Nazionale che si terrà i giorni 22 e 23 ottobre a Chianciano. Non possiamo più sbagliare. Dobbiamo trovare il bandolo della matassa ed evitare l’ennesimo fallimento. Dobbiamo essere lungimiranti; coraggiosi; consapevoli dei sacrifici e della durezza della vita che le scelte che proponiamo recherebbero per alcuni anni (7); dobbiamo valutare preventivamente le conseguenze delle azioni; e dobbiamo avere anche un progetto di autonomia e di indipendenza. Vogliamo la liberazione da un vincolo per esercitare lungo una traiettoria ben precisa la riconquistata libertà.
Nell’assemblea saranno indicati e discussi i vantaggi, sia immediatamente finanziari sia economici, sia in termini di libertà di azione politica, che deriverebbero dall’uscita dai trattati europei. Quali norme giuridiche potrebbero emanare e quali obiettivi potrebbero prefiggersi gli stati europei, una volta sciolti dai vincoli dei trattati? Immani spazi si aprirebbero alla fantasia, al desiderio e agli interessi in lotta. La prevalenza dei trattati europei sul diritto degli stati nazionali castra da lungo tempo la nostra fantasia. Desideri e pensieri ne risentono: muoiono sul nascere e anzi non nascono. Che cosa potremmo decidere, che oggi non possiamo decidere, se uscissimo dai trattati europei? Quali libertà riconquisteremmo? Non credo sensato prendere posizione sul tema dell’opportunità dell’uscita dall’euro, senza aver previamente valutato gli spazi di libertà che i singoli popoli e stati europei riconquisterebbero uscendo dall’Unione monetaria ed europea. Consideriamo anche che non usciremmo da soli. Uscirebbero anche Grecia, Spagna e Portogallo. Già avremmo un’alleanza naturale pressoché certa.
Nell’assemblea si discuterà anche il significato pratico della frequente invocazione di “un'altra Europa”. Molti, infatti, negli ultimi tempi, dopo aver intuito che quella europea è una costruzione debole, edificata sulla sabbia, ingiusta e limitativa della libertà dei popoli, con sacrificio dei lavoratori (subordinati ed autonomi), e del piccolo capitale, in favore degli interessi della grande finanza e (fino ad ora) di alcune nazioni, come la Germania, sono divenuti contrari “a questa Europa” e ne invocano “un’altra”. In quanto tempo hanno intenzione di edificarla? Venti, trenta o sessanta anni? Se è così, non abbiamo nulla da obiettare e, quando gli stati nazionali avranno riconquistato la loro sovranità, saremo perfino disposti a sederci al tavolino per discutere del tema. Nella prospettiva segnalata, infatti, la volontà di costruire un’altra Europa non escluderebbe e anzi implicherebbe la necessità di distruggere questa Europa. Se invece si crede di evitare soluzioni di continuità; se si pensa che questa Europa, con i suoi organi e i sui principi fondanti possa modificare sé stessa e addirittura trasformarsi nell’opposto di sé stessa, allora non si sfugge alle accuse di velleitarismo e di rimozione della realtà (rimozione spesso dovuta a un’avversione per gli stati nazionali a lungo coltivata e ormai preconcetta). Chi ci assicura che negli altri stati europei si troverebbero maggioranze disposte a costruire quest’altra Europa? Come si edificherebbe quest’altra Europa se, in ipotesi, Germania, Francia e Olanda decidessero di non aderire? E noi Italiani che dovremmo fare? Nel pieno della tempesta economica e finanziaria dovremmo affidare il nostro destino ad altri popoli, i quali potrebbero avere un interesse del tutto diverso dal nostro o magari semplicemente una volontà (maggioritaria) diversa dalla nostra? E quanto tempo implicherebbe un tale processo costituente? Nel frattempo lasceremmo che il potere resti nelle mani degli organi previsti nei Trattati europei, organi che hanno il compito di difendere quei principi fondanti dell’Europa che si vorrebbero eliminare? Suvvia! Non rimuoviamo la realtà, la quale ci impone un aut aut: o questa Europa o fuori dall’Europa!
Quella che traspare dalle righe che precedono è la mia opinione, diversa, probabilmente, da quelle di altri relatori che interverranno – e tra essi segnalo l’autorevole filosofo del diritto e studioso del diritto internazionale Danilo Zolo; l’acuto economista Sergio Cesaratto, che da tempo va ragionando e scrivendo su questi temi, e che so, per averlo letto, essere in disaccordo rispetto all’ipotesi da me testé formulata; il sindacalista Giorgio Cremaschi, al quale va il grande merito di aver fatto una scelta coraggiosa, promuovendo l’appello “Dobbiamo fermarli”; e il segretario di Alternativa e sottoscrittore dell’appello “Dobbiamo fermarli”, Marino Badiale, che interverrà a titolo personale, perché Alternativa per il momento sembra orientata ad escludere la proposta dell’uscita dall’euro. Un’assemblea si convoca per ascoltare, per riflettere sulle diverse opinioni e informazioni e per partecipare alla riflessione collettiva. Se poi alla fine si perviene anche a una deliberazione, allora l’assemblea è perfettamente riuscita.
Pochi di voi possono avere certezze in questa difficile materia. E quindi pochi di voi possono dire con sincerità di non avere interesse a partecipare all’Assemblea Nazionale. Per questa ragione vi invito, con l’augurio che partecipiate.
Per informazioni Fuori dall’euro! Fuori dal debito! https://www.appelloalpopolo.it/?p=4385
(1) http://www.alternativa-politica.it/2011/09/bozza-di-programma-di-alternativa/
(2) https://sites.google.com/site/appellodobbiamofermarli/
(3) Il problema dell’euro è ignorato anche in questa intervista a Giorgio Cremaschi, la quale precisa con chiarezza i contorni dei cinque punti del programma di “Dobbiamo fermarli”: http://www.libera.tv/mm_player.swf?http_base_url=http://www.libera.tv/&videoid=1703
(4) http://lemieconsiderazioniinutili.blogspot.com/2011/08/vincere-la-crisi-sconfiggendo-la.html
(5) Da leggere e anzi da studiare l’eccellente articolo di Alberto Lombardo: Uscire dall’euro si deve, oggi http://sollevazione.blogspot.com/2011/09/uscire-dalleuro-si-deve-oggi.html
(6) https://www.appelloalpopolo.it/?p=4351
(7) Sulle conseguenze immediate e negative (caduta dei redditi) dell’uscita dall’euro si sofferma Vladimiro Giacchè 2011: fuga dall’euro? http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=39119
Il punto è che non si può fare un default pilotato ( cioè limitarsi a garantire i titoli solo in mano ai cittadini italiani ripudiare il debito estero ecc ) senza uscire dall' euro l' ho ribadito più volte sulla pagine di Alternativa e nei vari appelli degli Indignados ecc. è ora che i movimenti anti austerity prendano posizione!
Concordo. L'idea di dichiarare bancarotta restando nell'euro è semplicemente assurda.
Se Andrea Mensa ci legge ancora, penso potrebbe spiegare le ragioni tecniche di questa evidenza.
Fosse a Milano ci verrei di corsa. A parte l'egoismo logistico, trovo che Milano rappresenti meglio di tutto la realtà economica più vitale del paese. Se cambiamento ci sarà, partirà da qui.
Visto che il nostro peso politico reale attualmente è prossimo a zero, ritengo che ci dovremmo ritenere liberi di pensare. Non è un ovvietà, è un punto di forza da non sottovalutare.
Euro ed Europa coincidono solo nel mondo finanziario, che è quello che comanda da vero tiranno, quello che dobbiamo abbattere anche solo per poter dire la nostra.
Tornare alla moneta nazionale è condizione assolutamente necessaria, e ovviamente non sufficiente, a rifondare la Politica. E di cos'altro stiamo parlando? E allora pensiamo in grande!
L'uscita dall'euro coincide con lo spazzar via l'intera classe politica, altro che "mani pulite"! E che altro ci resta da fare per salvare le chiappe al popolo? Direi che anche su questo non si discute.
L'unica esperienza storica che abbia senso prendere a termine di paragone attualmente è ancora l'Argentina. Ma nel frattempo c'è stato l'Equador, l'Islanda, la Cina, ecc. ecc. ecc. Se botto dev'essre, siamo tecnicamente nelle condizioni di farlo a ragion veduta e a regola d'arte. La paura del buio è infantile, ammettiamolo, è ora di crescere.
Non s'è mai visto un paese che riprende in mano la propria moneta e la propria economia e che per questo vada alla malora, semmai il contrario. Con quel poco d'infrastruttura industriale che c'è rimasta e con le risorse economiche, umane, ambientali che ci ritroviamo possiamo farcela, non solo a sopravvivere dignitosamente, ma a risorgere, a rinascere come abbiamo saputo fare in passato e ancora meglio. La situazione mondiale sembra quasi chiedercelo, non aspetta altro che un buon esempio da seguire per ricostruire dalle macerie della finanziarizzazione selvaggia dollarocentrica.
A presto
Alberto
Preve sul convegno di Chianciano
http://www.facebook.com/notes/andrea-bulgarelli/fuori-dal-debito-fuori-dalleuro-di-costanzo-preve/270162193005702
Maurizio Neri
E' un'urgenza strattonare le radici della millenarista utopia liberista allignata in Europa, che si è fatta "mercato & moneta" alla faccia e sulle spalle di tutti i ceti laboriosi. Bisogna sparigliare il gioco, ora, altrimenti il discorso si chiude definitivamente per un'altra generazione. Il giogo del governo-ombra continentale della BCE, lo si incrina se si assesta un primo colpo al loro giocattolo monetario preferito: moloch ed alibi d'una oligarchia che sta cancellando tutti gli altri poteri che emanano dalla volonta popolare e dal voto.
La BCE, genuflessa al FMI, è in corresponsione d'amorosi sensi con la casta delle 12 banche mondiali, ed agisce in perfetta sintonia con il fondamentalismo globalista, persino nella fase in cui è già cominciata la de-globalizzazione. BCE e "commissione di Bruxelles" -che fino all'anno scorso osavano negavare persino l'esistenza di qualsivoglia crisi- ora passano all'arrembaggio piratesco con politiche che falcidiano il potere d'acquisto dell'85% della popolazione. Aprono la strada al crollo generalizzato dei consumi e chiusura di tutte le imprese che alimentano il mercato nazionale.
Il sistema bancario è senza liquidà, fallito, e gli Stati non possono salvarlo una seconda volta. Non perchè non volgliano, semplicemente non possono. Gli unici riferimenti utili sono le decisioni prese da quei Paesi che seppero dire NO al FMI:sospensioni del pagamento di interessi annuali; revisione della contabilità ed accertamento della liceità delle esisgenze del FMI e banca privata; moti popolari crescenti che -in sintonia con nuovi gruppi dirigenti emergenti- riescono a rimettere al centro della discussione la sovranità. Come passo iniziale di uno sviluppo autonomo, sottratto ai centri di pianificazione globalista.
L'hanno fatto piccoli Paesi come l'Islanda, l'Ecuador o l'Argentina; tutti gli altri emergenti del BRIC hanno sempre respinto con forza le ingiunzioni USA di svalutare le loro monete, o di subire misure economiche esogene. No all'euro è soprattutto imperiosa necessità d'una iniziale recupero la di sovraità dei governi sulla politica economica e monetaria,
Le elites europee hanno sempre preferito essere "gli ultimi tra i primi": l'Italia è stata castigata con la perdita del business con la Libia, e l'amputazione della presenza nel Mediterraneo.In un'Europa che è una semplice espressione monetaria, sotto l'mperioun'oligarchia di banchieri, non vale più la pena essere "ultimi tra i primi" Non per i salariati e classi medie. Meglio pensare in termini di "primi tra gli altri". Fare la coda dell'artritico leone anglosassone o essere la testa della talpa?
Tito Pulsinelli