Contro "il manifesto della rivolta in Spagna": Rivoltosi spagnoli, rivoltatevi contro voi stessi!
di Stefano D’Andrea
Ho letto il “manifesto della rivolta in Spagna” pubblicato su Megachip e sono rimasto stupefatto.
E’ il manifesto del brav’uomo, che si assolve da ogni colpa per la situazione economica, politica, sociale e morale della sua nazione e che contesta la corruzione dei politici, degli imprenditori e dei banchieri. Il manifesto dell’integrato capitalista vagamente anticapitalista. Dello sprovvisto di religione – si sa, ormai, che Dio è morto -, il quale chiede alla politica di adoperarsi per la sua felicità. Per ammissione degli autori, è un manifesto per i progressisti e per i conservatori, per coloro che hanno idee politiche ben definite e per coloro che non ne hanno. La prima lettura mi ha dato l’impressione che si trattasse del compitino svolto in classe da uno studente delle scuole medie inferiori; per non esagerare, direi da uno studente di terza media. Scuoto la testa; mi chiedo se son desto o sto dormendo e decido di rileggere l’intero manifesto.
Il testo si compone, in primo luogo, di una parte introduttiva, nella quale gli autori dichiarano chi sono e per quali ragioni hanno deciso di rivoltarsi.
Chi sono i rivoltosi: “Noi siamo gente comune. Siamo come te: gente che si alza ogni mattina per studiare, per lavorare o per trovare lavoro, gente che ha famiglia e amici. Gente che lavora duramente ogni giorno per vivere e dare un futuro migliore a chi ci circonda.
Alcuni di noi si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Alcuni di noi hanno un'ideologia ben definita, alcuni si definiscono apolitici”. Insomma si tratta di gente che si alza ogni mattina; alcuni lavorano, altri studiano, altri non lavorano ma si danno da fare per cercare lavoro. Tutti hanno famiglia (e ci può stare) e tutti hanno amici (il riferimento agli amici è assolutamente incomprensibile). Alcuni sono “più progressisti” altri “più conservatori”. Alcuni hanno idee politiche (magari contrastanti). Altri non hanno idee politiche.
Perché questo insieme eterogeneo di gente comune ha deciso di “rivoltarsi”? Ecco la ragione: “Ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale che vediamo intorno a noi. Per la corruzione di politici, imprenditori, banchieri … Per il senso di impotenza del cittadino comune”. La prima frase è vuota di significato, o meglio ha un significato generico e indeterminato. L’unica frase che spiega le ragioni della “preoccupazione” è la seconda: “Per la corruzione di politici, imprenditori, banchieri … Per il senso di impotenza del cittadino comune”. Insomma, il problema di questo gruppo eterogeneo di “gente comune” è che i politici i banchieri e gli imprenditori sono corrotti. E loro, gente comune ed eterogenea, sono impotenti contro la corruzione di politici imprenditori e banchieri e perciò costretti a rivoltarsi: “Questa situazione fa male a tutti noi ogni giorno. Ma se tutti ci uniamo, possiamo cambiarla”.
Sembrerebbe, dunque, che i cittadini, rivoltandosi, vogliano ovviare, tramite la rivolta, alla loro impotenza ed eliminare o ridurre la corruzione di banchieri, politici e imprenditori. E invece non è così. La frase successiva illustra un salto logico: “È tempo di muoversi, è ora di costruire insieme una società migliore. Perciò sosteniamo fermamente quanto segue:”.
Insomma la persone comuni, tra le quali si trovano soggetti che hanno idee politiche diverse e soggetti che non hanno idee politiche, sono preoccupate per la corruzione di politici, banchieri e imprenditori; constatano che senza rivolta la corruzione non si può eliminare o ridurre e a questo punto, visto che ci si deve rivoltare, decidono di tentare di costruire una società migliore! L’impostazione è francamente infantile. Andiamo a vedere di cosa si tratta, per verificare se la nostra impressione, come speriamo, è smentita dal prosieguo.
Ecco quanto i rivoltosi sostengono fermamente: “Le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l’uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone.
Ci sono diritti fondamentali che dovrebbero essere al sicuro in queste società: il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all’istruzione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale, e il diritto di consumare i beni necessari a una vita sana e felice”.
Conviene isolare gli obiettivi di questo eterogeneo gruppo di gente comune.
Il progresso: parola un tempo estremamente polisemica e ora vuota; la quale, quando si riempie di contenuto, rivela ormai i tratti del maligno;
Lo sviluppo: parola almeno ambigua, perché nulla dice sul consumismo, sulle grandi barche a motore, sui SUV, sui centri commerciali, sulle bambole vestite da prostitute, sulla pubblicità, sulle televisioni commerciali che trasmettono 24 ore su 24, sulle strade cittadine conquistate dalle automobili, le quali hanno estromesso i nostri figli (perché pensiamo tanto a ciò che Israele ha fatto ai palestinesi e mai a ciò che noi abbiamo fatto ai nostri figli?), sulle piazze occupate dai bar, sulla necessità dei genitori moderni di pagare (la scuola calcio, per esempio) per far giocare i bambini, sulle lampade e i centri “benessere”, sul business salutista. Tutto ciò deve essere preservato e sviluppato? Se la pensate così la rivolta è si necessaria ma contro di voi! Come limite allo sviluppo nel manifesto si accenna soltanto alla “sostenibilità ecologica”, concepita, invero, come obiettivo in sé, senza considerarla un limite allo sviluppo. L’atteggiamento puerile di desiderare limiti allo sviluppo a tutela dell’ambiente, e di non pretenderne a tutela della “natura umana”, o, più precisamente a tutela di una natura umana anziché un’altra, è tanto diffuso da essere ormai divenuto insopportabile (1).
Il benessere: Molto meglio la Costituzione della Repubblica Italiana, che voleva attribuire ad un solo membro di una famiglia uno stipendio idoneo a garantire al lavoratore e ai membri della sua famiglia una esistenza libera e dignitosa: “Basta un’esistenza libera e dignitosa! Se vuoi il benessere te lo procuri tu! Io Stato proprio non mi impegno a procurartelo. Ho altri obiettivi più importanti da perseguire”. Ah quanto è profonda e morale la nostra Costituzione!
La felicità delle persone. L’idea che la politica debba garantire e promuovere la felicità delle persone è una delle più infantili tra quelle che circolano in taluni ambienti asseritamente antagonisti, salvo che con la formula del diritto alla felicità si indichi la libertà dal bisogno. Ma non sembra questo il nostro caso, perché accanto all’obiettivo della “felicità delle persone” si trova addirittura “il benessere”. Se poi per vita felice si intende quella che consente il consumo di quanti più beni è possibile, magari a debito, allora il livello della stupidità è totale (2).
La libertà di accesso alla cultura. Altra formula incomprensibile. Al limite, il problema è il potere di accesso alla cultura, non la libertà, che è sempre stata pura forma ed è certamente prevista dall’ordinamento spagnolo. Comunque, l’accesso alla cultura – il raggiungimento della quale richiede impegno noia e fatica (e quindi amore per l’impegno per la noia e per la fatica) – deve essere perseguito rendendo la scuola più difficile e la valutazione (giustamente) più severa e, per questa strada, il sistema dell’istruzione meno classista di come lo sia adesso. Se il livello generale di “istruzione” è basso, la cultura non può svilupparsi (3).
Nessuna obiezione, ovviamente, su “uguaglianza e solidarietà”. Si tratta, tuttavia, di parole che devono essere declinate, altrimenti significano poco o nulla, come si avvede già chi consideri la tradizionale distinzione tra uguaglianza formale e sostanziale.
Circa i diritti che lo stato dovrebbe tutelare, nessun dubbio sui l diritti alla casa, al lavoro, alla salute, all’istruzione. Tuttavia il manifesto non contiene alcun accenno ai problemi e alle soluzioni, confermando che i rivoltosi sono privi di idee politiche, come essi stessi, in fondo, ammettono.
Invece il “diritto alla cultura” è formula priva di senso, che denota non povertà di idee, bensì povertà di intelletto. Idem per il “diritto al libero sviluppo personale”.
Il “diritto alla partecipazione politica” è riconosciuto e tutelato dall’ordinamento spagnolo. Il problema è il dovere della “partecipazione politica”. Un dovere che la gente comune, drogata dal credito, dai consumi e dalle immagini televisive “regalate” (o quasi) da chi promuove la società dei consumi, ha cessato di adempiere, lasciando colpevolmente il potere in mano a cricche criminali e pronte a vendersi agli stranieri.
Il “diritto di consumare i beni necessari” è una frase obbrobriosa. La Costituzione della Repubblica Italiana parla di diritto ad una esistenza libera e dignitosa. E la libertà è anche libertà dai condizionamenti che ci inducono a consumare beni non necessari, persino ricorrendo al debito e che per contentino ci offrono una tutela particolare quando ci indebitiamo per consumare beni futili (4). La Costituzione della Repubblica Italiana spinge anzi a non consumare beni non necessari, allorché non si limita a proteggere, bensì “promuove” il risparmio.
Il “diritto a una vita sana e felice” è una stupidaggine della quale ho già detto, quando sopra ho contestato che la felicità della gente possa essere un obiettivo della politica.
Insomma, salvo poche parole, che restano semplici parole, perché il manifesto non le riempie di contenuto, di problemi e di soluzioni, del manifesto non si salva niente. Vuoto di idee e vuoto ideale.
Questo è il manifesto della gente comune contro la quale è necessaria la rivolta. Questa gente comune è diventata così e parla così, perché è stata condizionata dall’ambiente politico, ideologico, mediatico e, a rigore, dai rapporti di produzione nei quali vive, correttamente intesi. Se questa gente comune vuole rivoltarsi, deve prima elogiare la dimenticanza. Deve prima prendere atto di come è diventata e deve voler dimenticare ciò che oggi è (5). Oggi sono uomini così e meritano soltanto il mondo così com’è.
Non proseguo nell’analisi del “manifesto della rivolta in Spagna”. La parte che ho riletto e fino ad ora commentata è sufficiente a persuadermi che nulla di buono potrà essere compiuto sul fondamento di quel manifesto. Non ci sono ingegni, non ci sono idee, non ci sono ideali, non c’è uno straccio di analisi, non dico profonda, bensì anche semplicemente sensata. Parole in libertà per gente comune che costituisce e ha costituito il sostegno di massa al sistema. Gente comune che o bisogna riuscire a conquistare o bisogna condizionare o bisogna combattere.
Tuttavia, per chi avesse curiosità di leggere il “Manifesto della rivolta in Spagna”, riporto il link: http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione/6203-il-manifesto-della-rivolta-in-spagna.html
Note
(1) Note per un programma di politica economica e morale, https://www.appelloalpopolo.it/?p=3391;
(2) La vita come missione: contro il diritto alla felicità e contro ogni indice di misurazione della medesima: https://www.appelloalpopolo.it/?p=2525
(3) L’uomo, la tecnica, la scuola, il latino e gli scacchi: https://www.appelloalpopolo.it/?p=2226
(4) La “tutela del consumatore” nell’epoca della spoliazione dei diritti: https://www.appelloalpopolo.it/?p=599 La condizione di consumatore è la moderna forma di asservimento: https://www.appelloalpopolo.it/?p=725 E’ necessario sottrarre al grande capitale il potere di formare l’opinione pubblica https://www.appelloalpopolo.it/?p=163
(5) Calpestare l’oblio ed Elogiare la dimenticanza https://www.appelloalpopolo.it/?p=3042
straquoto, Stefano, questo post.
nell'analisi di come si sia giunti a formulare un'insieme di stupidaggini del genere, hai solo dimenticato di porre l'accento sulla irresponsabilità delle persone a cui quel manifesto si rivolge.
se prima di chiedere, si fossero guardati un attimo allo specchio, domandandosi perchè, oggi, si trovano a dover chiedere, dove risiede la responsabilità di avere QUEI politici, QUEGLI industriali e QUEI banchieri, si domandassero a cosa hanno rinunciato per permettere che ciò avvenisse, e formulassero anche una proposta affinchè non si ripata esattamente la srtessa storia, allora avrebbero fatto qualcosa di utile.
il cadere in una trance collettiva, fatta di piccole cose a cui ormai siamo ancorati, di rinuncia al capire, al controllare, ad esprimersi, finchè non si capisce come ci si è entrati e soprattutto come uscirne, saranno solo stupide "lista della spesa".
poi occorrerà chiarirsi anche a cosa si è disposti a rinunciare, per cambiare qualcosa….. magari al tempo speso come zombies davanti al televisore a rimbambirsi di stupidaggini, magari a qualche telefonino di ultimissima generazione, magari a qualch eabito firmato, o a cosa ?
se un individuo può cambiare qualcosa, questo qualcosa è innanzitutto se stesso, e solo il cambiamento della propria testa, può portare ad un cambiamento collettivo.
a meno ch esi decida di spaccarle le teste vuote. "vaste programme" direbbe di nuovo De Gaulle.
Come sempre Stefano D'Andrea scava in profondità e coglie nel segno. La vacuità di questi testi è desolante. Dico "questi testi" perché anche i programmi di Cinquestelle non vanno oltre la denuncia della corruzione e lo sviluppo sostenibile. Sono i limiti del movimentismo senza quella guida che Gramsci chiamava "l'intellettuale collettivo". Però nella palude immobile e mefitica in cui viviamo in Europa, ben vengano anche questi sassolini nello stagno. Qualcosa possono produrre o almeno mettere in moto delle dinamiche.
Luciano,
concordo che ben vengano questi sassolini. Se la crisi si farà dura, credo che saranno qualche cosa di più serio di semplici sassolini. Mi dispiace, però, che dietro non ci siano idee. Per distruggere possono bastare la rabbia o l'odio o la fame. Una rivoluzione è sempre portatrice di un principio o di alcuni principi. Perciò si tratta di una rivolta e non di una rivoluzione. Tra gli esiti paradossali di una rivolta prolungata di questo tipo, in situazione più critica di quella attuale ma che comunque potrebbe verificarsi a breve, c'è il vuoto politico e la naturale, logica e sacrosanta (in caso di vuoto politico) presa del potere da parte dell'esercito. Mani pulite ha avuto esiti opposti a quelli che si prefiggevano i contestatori di Craxi, i videodipendenti e i pubblici ministeri. E' un esempio che dobbiamo sempre avere presente quando valutiamo rivolte o abbittimenti della classe politica con gli strumenti moderni (stampa e pubblici ministeri).
Comunque, può darsi che le idee vengano fuori con il tempo. Sarebbe la conferma della teoria che le idee nascono dalle azioni. Speriamo bene.
Non so se esser contro il Manifesto degli Indignados, nonostante le critiche condivisibili che ha espresso D’Andrea.
Non lo sono neppure nei confronti del Movimento 5 stelle, che mi pare inefficace.
Il problema è che la perdita della dimensione sociale e politica che oggi si sconta, restando all’uomo soltanto quella privata, porta a risultati come questi, alle “sciocchezze” stigmatizzate nell’analisi, alla beata ingenuità [se di questo veramente si tratta] che affiora nei programmi.
L’impotenza politica diffusa e la difficoltà sempre più evidente di “leggere” ed interpretare correttamente gli enormi problemi sociali dell’epoca, costituiscono la miglior prova della perdita di “senso del politico e sociale collettivo nella vita associata” [si passi l’espressione], che oggi ci pare irrimediabile.
Se ho ben compreso, i riferimenti ad espressioni come Progresso e Sviluppo renderebbero il manifesto in questione sostanzialmente interno al sistema, e agli immaginari liberaldemocratico-capitalistici.
C’è però un riferimento alla democrazia partecipativa, per quanto si tratti principalmente di uno slogan non corrispondente a precise istituzioni, che spinge fuori della liberaldemocrazia truffaldina degli Zapatero [e dei Berlusconi in Italia].
C’è una richiesta di “giustizialismo sociale” e di eguaglianza, che nascono da situazioni concrete di crisi strutturale e dall’applicazione dello shock per far passare le controriforme [la cosiddetta shock economy di Naomi Klein] che hanno funestato molte società occidentali, penalizzando la Spagna dello sboom economico seguito alle vacche [apparentemente] grasse alimentate dal crescere della bolla immobiliare.
Certo, non c’è la consapevolezza desiderata e sperata da D’Andrea [e per la verità anche dal sottoscritto] che dovrebbe caratterizzare un movimento realmente antagonista e trasformativo, ma l’indignazione è un piccolo segnale positivo, rispetto alla passività sconcertante che da anni registriamo, in particolare nelle ultime generazioni [specialmente in Italia].
Del resto, per quanto riguarda la condizione giovanile, la Spagna è il paese dei giovani NEET almeno quanto lo è l’Italia, in loco ribattezzati generación ni estudia, ni trabaja, e il nascere dell’indignazione, per quanto in forme ingenue, è comunque un passo in avanti rispetto alla più completa passività.
Se manca completamente o si riduce la capacità di indignarsi, che equivale a quello che è il bene più prezioso dell’uomo libero, cioè la propria capacità di critica e di giudizio, il “ritorno all’ovile” prima o poi è inevitabile, e quindi diventa possibile la supina e definitiva adesione ai riti elettoralistici liberaldemocratici, da un lato, e l’assorbimento progressivo negli immaginari sistemici dall’altro lato.
Perciò, tralasciando per un momento l’ingenuità programmatica degli Indignados, e le giuste critiche mosse da D’Andrea al loro manifesto, mi concentro su quelli che probabilmente sono i principali elementi costituivi di questo movimento, elencandoli di seguito in ordine d’importanza:
a) L’indignazione come base della critica sociale e politica [e ciò è indubbiamente positivo, per quanto scritto in precedenza], nonostante l’ingenuità e la confusione che può manifestarsi nei programmi e nelle dichiarazioni.
b) La relazione diretta fra la protesta in atto e le reali condizioni di vita della popolazione, che riporta lo scontro sul terreno più importante, il quale è e rimane quello sociale.
c) La richiesta di “democrazia partecipativa” in contrapposto alla democrazia liberale rappresentativa che costituisce il miglior compendio, sul piano politico, del liberalcapitalismo ultimo, ben sapendo, però, che la “democrazia partecipativa” è ancora uno slogan e non assume chiare forme istituzionali.
d) L’ispirazione tratta dalle rivolte nei paesi arabi [vedi la “rivoluzione dei gelsomini” e la rete egiziana “we are all Khaled Said”], a dimostrazione che un concreto antagonismo può nascere nella periferia del “sistema-mondo” economicizzato [o economia-mondo, secondo la definizione di Immanuel Wallerstein] e non al centro.
Per ora mi fermo qui
Saluti
Eugenio Orso
La pura protesta è un'arte. E' l'arte del contraddire, è la capacità di dire qualcosa contro la tesi di un nostro oppositore anche se questi non ha tesi.
E' vero che il manifesto degli indignati non ha mordente, non ha ideologia, non ha idee e però lo considero importante. Il segnale che ormai il popolino è pronto a protestare anche se si propone una scoreggia.
"Tre ore di protesta e potrete scorreggiare a vostro piacimento". Zac è fatta, tutti in piazza.
Chi sarà in grado di fornire idee e contenuti avrà il più grande ed economico degli eserciti: il popolino.
Credete a me che sono un protestante!