Perché il 25 aprile è una festa di tutti gli Italiani
di STEFANO D’ANDREA
La storia delle nazioni è fatta anche di guerre civili. Negli Stati Uniti, dopo la guerra di secessione, fu istituita la giornata del ricordo dei caduti del nord nella guerra di secessione, giornata che soltanto dopo la guerra mondiale, ossia 54 anni dopo, diventerà giornata dei caduti americani nelle guerre (ma non anche dei caduti del sud nella guerra di secessione: i fanatici svolgono ancora rare e non partecipate manifestazioni separate).
In Italia, sia il Risorgimento, sia le due guerre mondiali hanno sempre avuto, nel loro interno, un momento o elemento di guerra civile. In generale tutte le grandi rivoluzioni armate della storia sono sempre state (anche) guerra civile.
Orbene, io credo che vadano rispettate tutte le festività nazionali, anche se ricordano una guerra civile. Soltanto così si costruisce la nazione, che si costruisce e non è un dato di natura: lo Stato e il popolo (oggi purtroppo anche il grande capitale) fanno incessantemente la nazione.
Noi di Riconquistare l’Italia ci siamo impegnati da anni in questa battaglia culturale unitaria e a mio avviso razionale.
Abbiamo festeggiato:
- il XX settembre, senza interessarci di eventuali papalini (qui);
- il 17 marzo, con innumerevoli articoli sul Risorgimento, affrontando non tanto gli insignificanti neoborbonici quanto i cittadini del sud che si sentivano eredi dei briganti (tra gli altri articoli, su Garibaldi qui, su Mazzini qui, su Ricciotti qui, su Francesco De Sanctis qui);
- il 4 novembre, schierandoci, senza divenire degli esaltatori della guerra, contro i comunisti ritardati, più che ritardatari, la vasta categoria dei buonisti pacifinti, e i friulani che ricordano con disprezzo i nazionalisti interventisti (qui, qui e qui);
- e abbiamo festeggiato il 25 aprile, sempre concepito come festa di tutta la nazione e festa patriottica come le altre tre: segnalo un mio articolo che rivendica una diversa celebrazione, patriottica appunto, dei Fratelli Cervi, rispetto alle celebrazioni comuniste e di sinistra (qui) e un secondo articolo nel quale cito il colonnello Graziani, che, scrivendo a Mussolini nel giugno 1944, riconosceva come al nord i “cosiddetti ribelli” avevano il consenso di “larghi strati della popolazione” e come la Repubblica Sociale non controllasse quasi niente (qui).
Sicché, seppure il 25 aprile significasse semplicemente la vittoria (a parte che non fu la vittoria ma semplicemente la data in cui furono lanciate le battaglie finali città per città) di una parte sull’altra nella guerra civile, essa andrebbe comunque considerata una festa nazionale, perché la storia funziona così, perché è giusto così, perché è naturale così, perché è razionale così e infatti ovunque funziona così. Si festeggiano le vittorie non le sconfitte.
Ma in realtà il 25 aprile fu anche e soprattutto il giorno in cui venne lanciata l’insurrezione contro i tedeschi che ancora stavano nelle città e fu dunque anche e soprattutto una lotta di popolo contro un esercito straniero. È poi la data con la quale si fa coincidere la fine della guerra e la vittoria delle forze democratiche o che avevano accettato la democrazia, sulle forze che avevano difeso una dittatura.
La circostanza che vi furono eccidi e vendette, anche nei primi giorni di maggio, e poi in minor misura in seguito, non può essere valutata moralisticamente. Vorrei conoscere un solo caso al mondo di guerra civile in cui dopo la vittoria di chi non aveva avuto il potere ma era stato condannato al carcere o al confino o aveva perduto il lavoro e fatto la fame, non ci siano stati eccidi e vendette. Gli eccidi e le vendette in certe situazioni sono una cosa del tutto normale, nel senso che si verificano e se verificheranno sempre e ovunque, senza eccezioni.
Capisco che ci siano persone che hanno avuto i nonni o addirittura i padri che hanno combattuto al fianco dei tedeschi, capisco le critiche contro la retorica resistenziale, secondo la quale da un lato stavano gli eroi e dall’altro i torturatori – è evidente che eroi, pavidi, traditori, veri combattenti e opportunisti stavano da entrambe le parti, come sempre e che, come sempre, chi vince narra una storia idealizzata – ma davvero oggi esistono ancora italiani che credono che sarebbe stato meglio se avessero vinto i tedeschi? Anche Mussolini scrisse durante la Repubblica sociale che per l’Italia era finita, perché, comunque, anche in caso di vittoria, i tedeschi avrebbero fatto pagare il tradimento e ci avrebbero trattati come una colonia.
Davvero è possibile oggi sostenere che sarebbe stato preferibile che avessero vinto i tedeschi e l’Italia fosse rimasta divisa in due? I repubblichini combatterono per resistere, non certo per riconquistare il sud, dunque contro l’unità dell’Italia.
Davvero è oggi possibile sostenere che sarebbe stato meglio se la Resistenza non ci fosse stata? La Resistenza consentì che noi ci dessimo una Costituzione che non aveva nulla di angloamericano e che fu deliberata da un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, una Costituzione che prevede il diritto al lavoro ossia il dovere della Repubblica di perseguire la piena occupazione, e la dipendenza della Banca d’Italia. Invece in Germania, dove non vi fu resistenza, se non sporadici episodi, la Costituzione fu approvata prima che si tornasse al voto, e non prevede né il diritto al lavoro né l’indipendenza della banca centrale.
Nemmeno è vero che la Resistenza fu soltanto comunista o di sinistra. Basta vedere chi furono i fucilati alle Fosse Ardeatine per capire quanto fosse forte e importante la destra monarchica badogliana liberale, industriale e militare nella Resistenza. Non si può contestare l’agiografia di certa storiografia e poi farla propria quando conviene. La Resistenza fu di destra di centrodestra di centro di centrosinistra e di sinistra, anche se moltissimi, durante la Resistenza e in occasione di essa, divennero comunisti, perché i dirigenti comunisti dimostrarono grande capacità egemonica. Alleata dei tedeschi era rimasta soltanto una certa destra. Soltanto nelle visioni semplificate e falsissime la guerra civile italiana fu tra sinistra e destra o tra comunisti e fascisti. Soltanto la farsa – errore voluto – guerra civile degli anni settanta fu tra (alcuni) comunisti e (alcuni) fascisti.
Anche gli eredi di coloro che morirono sotto i colpi della Resistenza devono festeggiare il 25 aprile, se ovviamente sono divenuti democratici e sono fedeli alla Costituzione, nata anche dall’uccisione dei genitori o dei nonni. Contestare il festeggiamento del 25 aprile è una posizione antistorica, simmetrica a quella delle minoranze comuniste (dalle quali nacquero le brigate rosse) che considerarono la fine della guerra e la cessazione dei combattimenti come “il tradimento della Resistenza”.
Sono due posizioni extraparlamentari degli anni cinquanta, sessanta, settanta e anche ottanta, che trovavano sostegno in parti, con il passar del tempo sempre più minoritarie del PCI e nel MSI. Erano fuori dal tempo allora e oggi sono addirittura prive di senso.
Si devono festeggiare il 17 marzo, il 25 aprile, il 2 giugno, il XX settembre e il 4 novembre. Perché questa è la storia d’Italia. Io anzi festeggerei ed eleverei a festività nazionale anche la Repubblica Romana, che si diede una Costituzione anticipatrice della Costituzione del 1948.
Buon 25 aprile e, colpiti da (ma non prigionieri di) una gestione pandemica disastrosa, non dimentichiamo di cantare, oltre a Bella Ciao, anche Balle Addio.
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